“Eh, se c’è qualche omicidio che non mi ricordo, lo confesserò dopo…”.
A parlare è il pentito (all’epoca…) Claudio Carbonaro, nel corso dell’udienza del processo per l’operazione antimafia “Leopardo”, che si tenne il 28 marzo del 1995 a Roma (CLICCA QUI PER L’AUDIO INTEGRALE).
Nel corso di quel processo, ascoltando le parole di Claudio Carbonaro, i presenti scoppiarono in un momento di ilarità generale che costrinse, addirittura, il presidente ad intervenire per riportare il silenzio in Aula.
Forse, però, dietro a quelle “risate”, non si celava la dimenticanza di un boss, bensì la giustificazione per qualcosa che all’epoca non era stata detta e che non sarebbe stata detta mai.
La domanda del Pubblico Ministero a Claudio Carbonaro, infatti, era chiara: “Lei ha confessato tutti i delitti che ha commesso, vero?”. La risposta, non fu affatto chiara. “Eh, se c’è qualche omicidio che non mi ricordo, lo confesserò dopo…”.
Perché partiamo da queste parole?
Perché, proprio da queste parole pronunziate con supponenza, emerge la legittima domanda: l’allora pentito Claudio Carbonaro ha realmente vuotato il sacco durante la sua collaborazione con lo Stato?
Facendo un passo indietro, va spiegato che Claudio Carbonaro fu uno storico boss e che, insieme ai suoi due fratelli Silvio e Bruno ed a Carmelo Dominante, con le mani sporche di sangue, diede il nome al clan “Carbonaro Dominante” di Vittoria.
All’ombra di Turi Gallo, giovane rampante di una “famiglia” emergente, si costituì il clan che fu responsabile, sul finire degli anni 80, di un susseguirsi di morti ammazzati: più di 100 in poco meno di 4 anni, esattamente tra il 1988 e il 1992.
Claudio Carbonaro fu arrestato proprio dopo quella mattanza ed aveva la fama di non guardare in faccia nessuno. Due erano gli interessi che lo muovevano: soldi e comando.
E di soldi, lui ed il suo clan, ne facevano tantissimi, visto che – dai suoi stessi racconti – emerge come ogni opera, dalla più piccola alla più grande, che vedeva la luce nel ragusano, aveva il pizzo al clan. Ed ogni volta si parlava di svariate decine di milioni (del vecchio conio…).
Bene, il mafioso Claudio Carbonaro (che quasi si vanta, nei processi, di esser andato a Carrara per eliminare fisicamente, dopo un mese di appostamenti, addirittura Giuseppe Piddu Madonia), dopo svariati omicidi e diversi arresti grazie alle sue parole, ritorna sulla scena del delitto: a Vittoria.
Si, avete capito bene. Come se Brusca o Siino tornassero a Palermo, Vincenzo Sinacori a Mazzara del Vallo o Maurizio Di Gati ad Agrigento.
A differenza dei suoi fratelli, Silvio e Bruno, che si guardano bene dal rientrare a Vittoria, Claudio fa rientro in città e come lo fa? Guarda caso – visto che il tema di Riina junior è di strettissima attualità – lo fa con una intervista, dove si lamenta del trattamento dello Stato…
In quella intervista, a proposito di messaggi da decodificare, il mafioso Claudio Carbonare “chiede aiuto allo Stato” ed annuncia il suo rientro a Vittoria (non indichiamo il link per non fare pubblicità a parole per noi in codice, ma è facilmente reperibile su internet, con la data aprile 2015).
Ecco, avviene così il rientro di Claudio Carbonaro in “pompa magna” a Vittoria, in modo che “tutti sappiano”. Amici e nemici.
Ma come? Con le tue dichiarazioni hai fatto arrestare diverse persone e non hai paura di ritornare nella tua città?
I precedenti non sono dalla sua parte visto che, chi è rientrato nella propria realtà, solitamente lo ha fatto per ritornare a delinquere, magari proprio basandosi sul fascino che si può avere nei confronti di qualcuno o – ancor meglio – grazie ad alcuni amici che non ha nominato durante la collaborazione.
Così Claudio Carbonaro, ad esempio, non ha mai rivelato (fino in fondo) dove fosse il suo tesoro. Tutti i proventi delle miriadi di attività illecite, non sono stati mai indicati in toto dal boss.
Sarà che forse i proventi siano stati, prima di pentirsi, affidati ad alcuni “amici” mai citati nella collaborazione con lo Stato?
Per rispondere a questa domanda, troviamo le dichiarazioni di due parlamentari, molto ben documentati sui fatti vittoriesi: Mario Michele Giarrusso e Giuseppe Lumia.
Lumia affermò (LEGGI ARTICOLO) che Carbonaro “fosse il socio occulto della ‘Seristamp” di proprietà del “nipote, Francesco Iemolo, già segnalato per mafia”.
Giarrusso dichiarò (LEGGI ARTICOLO): “mi giungono preoccupantissime voci che affermano come l’ex pentito Claudio Carbonaro sia ritornato a Vittoria e si stia dando da fare all’interno dell’attività di Raffaele Donzelli. Con il Carbonaro e Donzelli – dichiarò Mario Michele Giarrusso – vi sarebbero anche Nino e Crocifisso Minardi e Totò Trubia (del clan dei pastori di Gela). Questi signori starebbero imponendo un vero e proprio racket della plastica ai raccoglitori delle serre”.
Noi da tempo ci chiediamo e segnaliamo Claudio Carbonaro (come nel caso dell’articolo sui D’Agosta – LEGGI) e le sue attività. Oltre alla sua ampia “rete” di contatti, fatta di imprenditori, professionisti, delinquenti.
Claudio Carbonaro si segnala, soprattutto, nel campo della “plastica” (campo che, grazie alla tenacia degli inquirenti, dimostrerà come il ragusano sia stato utilizzato come una succursale della “Terra dei fuochi”, con responsabilità di ogni tipo, anche istituzionali. Ne vedremo delle “belle” a breve!).
Appare chiaro come il mafioso Carbonaro stia mettendo a frutto le sue (tante) conoscenze vittoriesi e, senza paura, si stia riprendendo molti affari.
Affari che, da tempo, sono sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti (leggasi gli ultimi sequestri…).
Fatto sta che la presenza di Carbonaro a Vittoria, in un momento di transizione mafiosa, appare ingombrante e preoccupante e richiede un’azione dello Stato forte e decisa. Soprattutto nel campo degli “affari”, perché per persone così, sono i soldi a “muovere il mondo”.
Per non ripiombare negli anni che furono.