Questo Primo Maggio…

Seduto sul ciglio del marciapiede guarda il cielo impallidire, mentre sente addosso il suo odore sporco e ne prova ribrezzo, come se vestisse i panni di un altro.  Da quando è arrivato non fa altro, ogni mattina, seduto ad aspettare, aggrappato a questo lembo di pietra che gli sembra l’unica cosa familiare, nell’enorme distanza tra lui e il resto del mondo.

Dai gradini della chiesa di San Giovanni rivola un fiotto di sole, riflesso e increspato, che poi si allunga fino a toccare, con una punta bianchissima, la porta del bar da Elio, dove già si parla, si prende il caffè e si valuta il da farsi, per la lunga giornata che viene.

Lui guarda la sua borsa di plastica, dove tiene la sua razione di povertà, mentre il desiderio di una sigaretta lo prende improvvisamente e violento, come accade quando ci si astiene, volenti o nolenti, dalle abitudini che hanno tracciato la fisionomia di una vita intera.

Poco lontano c’è un gatto malato. Si vede che lo è, perché barcolla e si guarda indietro come se vedesse la fine incarnarsi tra le ruote delle autovetture parcheggiate, pronta a prenderlo prima che faccia pieno giorno. Quel gatto cerca un riparo, forse un motore caldo, che lo accolga in un abbraccio materno, nei suoi ultimi spasmi di vita.

Lui, dal suo giaciglio di pietra, queste cose le sa bene, perché ha imparato a conoscere il volto di chi muore e sa che nessuna differenza esiste in quell’attimo che appanna gli occhi e li segna di stupore, come a domandare: “è tutto qui?”, mentre sono gli altri, quelli che restano, a rendere drammatico il sapore dolce di un tormento che finisce.

Con il volto rigato dalla notte, osserva le nuvole lontane, sommerse da una distanza muta, e pensa al tempo che scorre nelle sue vene, nel soffio caldo di aria tra le ciocche dei suoi capelli. Lo sente dentro il tempo che passa, come ogni giorno tra le mani che si piagano e le ginocchia che scricchiolano sempre più forte e sempre più dolorose. Lo sente addosso questo tempo che colpisce la sua anima ad ogni battito del suo stesso cuore, lo sente nella barba che cresce pungendogli il viso, lo sente nel tramonto che sospira un amore perduto per sempre.

Controlla il suo misero bottino, quasi temendo di perderne le tracce e si vergogna di esservi così attaccato, anche se, a pensarci bene, non c’è poi tanto da stupirsi! Ogni uomo si lega alle cose che possiede e ne fa una ragione di vita. E’ il segno stesso della nostra esistenza, il possesso delle cose e, a volte, degli altri, non importa se uomini o donne, ma pur sempre oggetto di dominio, secondo un principio di appartenenza che ci lega tutti, come in una catena di tragica illusione.

Dall’altro lato della strada si avvicina un uomo, un giovane uomo con un cane, uno di quei cani dalle zampe corte e il corpo sproporzionatamente lungo, che lo segue al guinzaglio. L’uomo gli rivolge un’occhiataccia dietro i baffi dubbiosi, facendo una specie di smorfia che manifesta una certa disapprovazione. Lui fa finta di niente e cerca di non incontrare lo sguardo di quello, nonostante se lo sente addosso come una doccia fredda.

“Ehi tu!”, gli dice l’uomo con il cane, “che diavolo stai facendo? Non sai che oggi è il primo maggio? Oggi non si lavora! Oggi è la festa dei lavoratori! Tornatene a casa e riposati!”.

Lui fa finta di non capire e guarda dall’altra parte mentre dalla Via Iabichino sbuca un vecchio furgone bianco, ammaccato e logoro, guidato da un tizio stanco e con gli occhi cattivi. Il vecchio automezzo gli si ferma davanti. Lui si alza e raccoglie la sua borsa di plastica, stringendola al petto come fanno le donne, quando entrano in chiesa con borsellino pieno di monete destinate all’offertorio.

Lui sale a bordo, sommando il suo silenzio a quello di altri uomini inespressivi, che non lo degnano nemmeno di uno sguardo.  Il guidatore ingrana la marcia e si prende il gas, mentre dal finestrino aperto lui guarda fugacemente l’uomo con il cane e, facendogli un sorriso pieno di rassegnata dolcezza, gli urla con una pronuncia stentata: “grazie! ma questo non è il nostro primo maggio!”.

Le sue parole si perdono tra nuvole nere.

Il giorno è ormai fatto…

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