Da un po’ di giorni rifletto su quelle che possono essere le ripercussioni dell’imminente referendum del 17 aprile relativo alla abrogazione dell’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”.
Per cui il referendum deciderà il destino delle piattaforme in esercizio entro le 12 miglia; detto in parole semplici ci verrà chiesto: volete fermare i giacimenti in attività quando scadranno le loro concessioni? Se vinceranno i sì, saranno bloccate. Se vinceranno i no, continueranno a estrarre petrolio e metano fino all’esaurimento del giacimento.
Potrei dilungarmi adducendo le obiettive ragioni per accelerare la transizione verso le rinnovabili, e comprendo anche le motivazioni del fronte che sostiene di consentire l’esaurimento dei giacimenti in essere che consentirebbe di ottimizzare gli impatti ambientali a breve termine.
In realtà a mio parere il problema viene posto da molti secondo un punto di vista sbagliato; si ragiona solamente seguendo delle logiche legate al rischio del disastro o ai pericoli connessi alla realizzazione delle piattaforme petrolifere e via dicendo, rischio che, secondo quanto giustamente dicono i sostenitori del petrolio, è molto remoto se non impossibile, si ragiona seguendo logiche legate ai posti di lavoro, all’economia, al prezzo dell’energia che in caso di cessazione delle piattaforme in esercizio subirebbe un aumento, si ragiona seguendo delle logiche che prevedono comparazioni relative all’impatto ambientale delle piattaforme rispetto ad un impianto eolico offshore o allo smaltimento delle componenti pericolose dei moduli fotovoltaici e via dicendo.
Io parto da un altro punto di vista, e forse lo faccio perché sono abituato a ragionare secondo schemi progettuali già preimpostati, e ciò mi impedisce di parlare di economia, prezzo dell’energia o impatto ambientale a breve termine delle centrali elettriche.
Ritengo che la risoluzione del problema ambientale sia l’obiettivo da raggiungere, nel senso che esiste un problema legato al riscaldamento globale; esiste una realtà ormai accertata universalmente che afferma che la terra si sta surriscaldando con ritmi mai visti in passato, il famoso effetto serra; esiste una comunità mondiale di stati che si è più volte riunita per cercare di porre rimedio al riscaldamento e contenerlo entro i 2 gradi centigradi. Per fare ciò si è deciso a livello mondiale di sostituire i gas che provocano effetto serra con fonti alternative che immettono nell’atmosfera quantità enormemente minori di CO2 equivalente, nel dettaglio quelle quantità utilizzate per la fase di costruzione e smantellamento degli impianti, il famoso Energy pay back time, o per meglio dire il tempo di ritorno energetico dell’ investimento, che si stima essere di circa di 4 anni per l’eolico e di circa 6 anni per il fotovoltaico, durante il quale l’impianto, con la produzione di energia, ripaga la quantità di CO2 equivalente emessa per produrlo (fase di cantiere, dismissione e ripristino post esercizio); quindi mentre per un impianto alimentato da fonti rinnovabili esiste un ritorno energetico nel quale l’impianto ripaga la CO2 consumata per produrlo e successivamente produce energia ad impatto zero sull’ambiente, per le fonti fossili questo tempo di ritorno non esiste perché esse continuano a produrre CO2 anche durante l’esercizio.
Dato per assodato che la transizione verso le rinnovabili è una necessità per la sopravvivenza della terra, e quindi degli ecosistemi e dell’uomo, il punto cruciale è: quanto tempo abbiamo per evitare di varcare il famoso punto di non ritorno oltre il quale non è più possibile tornare indietro? Per i sostenitori del petrolio si può dolcemente transitare verso le rinnovabili in un periodo medio lungo, e quindi è possibile consentire alle piattaforme in esercizio di arrivare ad esaurire il giacimento, mentre per i sostenitori delle rinnovabili il punto di non ritorno è già alle porte per cui non si possono consentire ulteriori proroghe e gli stati devono urgentemente prendere delle misure drastiche per transitare verso un mondo totalmente alimentato da fonti rinnovabili.
Nessuno può dire con esattezza dove è collocato il punto di non ritorno perché le variabili in campo sono molteplici e si influenzano vicendevolmente, ed è qui che deve vigere il principio di precauzione, cioè nel dubbio si adotta la misura più conservativa che in questo caso prevede una transizione rapida alle rinnovabili.
Questi oltre che essere criteri progettuali e metodologici incontestabili (uno dei principi fondanti della valutazione di impatto ambientale è il principio di precauzione) sono anche ragionamenti di buon senso, non dimentichiamoci che non possiamo giocare con il clima o con la terra perché se dovessimo sbagliare ne pagheranno le conseguenze i nostri figli, e questo non è neanche ipotizzabile, almeno potremo dire in futuro di aver fatto il possibile per evitarlo.
di Dario Modica