La figura pubblica del prof. Saverio Terranova verte su due ambiti: quello politico e quello culturale.
Esprimo subito un giudizio di valore: se l’ambito politico – di lungo periodo, ricco di variegati avvenimenti e complesse problematiche e non sempre elargitore gratificante – avesse occupato meno spazio nella sua vita, ne avrebbe goduto in maggiore disponibilità l’ambito culturale ed il prato che il prof. Terranova avrebbe potuto lasciare è da immaginare pieno di fiori.
L’uomo politico. Cattolico, frequentante il seminario per qualche anno, laureato presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano sembrò come predestinato al Partito della Democrazia Cristiana. Si può dire che vi militò da sempre, sin dalla metà degli anni ’50 allorquando conseguita la laurea ritornò a Modica. Sembrò un Partito quello della Democrazia Cristiana – denominato la ‘balena bianca’, predominante in quegli anni sia in ambito nazionale, nell’Isola, nell’area iblea, al Comune di Modica – fatto su misura proprio per lui; e v’entrò con la sua possanza fisica e di giovane intellettuale ben preparato, facendo presagire una celere e fulgida carriera politica. All’inizio schierato dalla parte dei ‘burritta’ contro i ‘cappedda’, a voler dire a sostegno dei contadini contro i nobili. Ma col passare degli anni quel contesto non sempre gli garantì una presenza ‘pacifica’: fu apprezzato e anche criticato, applaudito e anche accantonato, quasi sempre combattuto anche al limite della calunnia.
La militanza nella D.C. non cessò per sua scelta, ma a seguito di provvedimenti di certi giudici inquirenti che con l’esplosione di tangentopoli determinarono agli inizi degli anni ’90 la scomparsa del Partito dalla scena politica nazionale. Orfano di ‘casa sua’ – dopo un quarantennio di appartenenza – a quel punto avrebbe potuto anche prendere in considerazione la saggia opzione di cessare la militanza. Ma l’ardore del suo sangue politico lo portò a continuare, innestandosi prima in Forza Italia e poi nel Partito Democratico, con ruoli che però non possono di certo definirsi di primo piano. Potremmo dire che si trattò di ‘innesti bastardi’ e in ogni caso di discutibile coerenza. Diviene difficile comprendere come ebbe a maturare tali scelte; di certo l’intuito di cui godeva in gran quantità gli avrà suggerito che non si sarebbe trovato in aree migliori di quella democristiana, dovendo percorrere guadi melmosi con presenze ambigue anche di soggetti definibili né di carne né di pesce. E pur tuttavia a prevalere fu la passione politica, nell’illusione che si può ben praticare in ogni età e condizione.
Nel febbraio del 2014 quando l’”accelerato” divenne Presidente del Consiglio, cogliendo a piene e pronte mani il frutto dell’ordito di quel comunista di destra che da Capo dello Stato fece e disfece quanto più gli parve opportuno, Saverio mi confidò con un certo orgoglio che il ‘giovane rottamatore’ lo aveva scelto come uno dei suoi 300 consiglieri. Ma quell’orgoglio ebbe a scemare di mese in mese, rendendosi gradualmente conto d’avere a che fare con un ‘rampante’ mirante all’unico obiettivo di sostituirsi al declinante Berlusconi. Ne constatò l’aria supponente e spocchiosa e ne rimase anche parecchio deluso per non aver ricevuto risposta ad alcuni suggerimenti che gli aveva offerto. Sfumò così il ruolo di ‘consulente’ e sulla stampa locale apparvero gli ultimi suoi ampi articoli molto critici nei confronti di colui che alla fine ebbe a ritenere un abile pubblicitario piuttosto che un capace statista. Con particolare veemenza ebbe a disapprovare la scelta di una compagine di governo composta da soggetti in gran parte sconosciuti, di limitata esperienza politica, con abbondanza di ‘bontà rosa’ non pareggiata da altrettanta capacità.
La presenza politica istituzionale del prof. Saverio Terranova giammai varcò i confini del territorio modicano, anche se con riconoscimento unanime avrebbe meritato di più in ruoli di rappresentanza dell’area iblea all’interno di istituzioni come il Parlamento e l’Assemblea Regionale Siciliana. Ma sta di fatto che il volo di 920 km. verso la capitale o di 280 km. verso il capoluogo isolano gli fu sempre vietato; quello che gli fu permesso fu solo un percorso all’incirca di 300 metri dalla sua abitazione di via Marchesa Tedeschi n° 84 agli scranni di Palazzo San Domenico, sede del Comune di Modica. A mettere in atto il diniego fu proprio il suo Partito, quella Democrazia Cristiana ove in quaranta anni egli dilapidò intelligenza, tempo, denaro, fegato nel tentativo di rompere certi equilibri preesistenti mantenuti con caparbietà da notabili locali che intravedevano nel suo eventuale emergere fuori misura il tramonto di se stessi. E con furberia democratica da buoni cristiani gli contrapponevano ad ogni competizione elettorale nazionale un asso da novanta, quale il prof. Angelo Scivoletto, modicano, docente universitario a Parma. Furono lotte fratricide all’ultimo sangue tra le due fazioni – i terranoviani e gli scivolettiani – che nel conteggio finale delle preferenze grosso modo si equivalevano e raggiungevano un ragguardevole piazzamento, ma mai il quorum elettivo. Con il ‘dividi ed impera’ i notabili locali mantennero così l’equilibrio a loro conveniente.
Ricoprì la carica di sindaco di Modica per ben otto volte (1), raggiungendo un primato che difficilmente potrà essere battuto in considerazione dei dettami della nuova legge elettorale.
Fu il politico che più di tutti usò inserire nei suoi discorsi e nei programmi elettorali la dizione “per il bene di Modica”; e v’è da credere che la pronunciasse in buona fede perché fu un figlio che amò la propria terra. Con la variante però che l’attuazione di quel “per il bene di Modica” l’intese spesso e volentieri compatibilmente con il successo della sua carriera politica.
Da sindaco, in taluni atti amministrativi dimostrò genialità e capacità, in altri genialità non seguita da abile gestione, in altri ebbe ad attuare scelte decisamente nocive per la comunità modicana. Sarebbe lungo citare tutti gli atti relativi alle tre tipologie sopra citate. Ci limitiamo ad indicarne solo alcuni a titolo esemplificativo.
Genialità e capacità.
* Dal 1959 la città di Modica soffrì per parecchi anni la scarsità d’erogazione idrica nei quartieri. Il fenomeno, determinato dal susseguirsi di stagioni siccitose e da insufficienti fonti d’approvvigionamento, diventò enorme e sentito dalla popolazione. Ogni giorno era un via vai di autobotti che in punti strategici fornivano i quartieri. Sorse anche un Comitato dell’acqua che in lotta contro i provvedimenti dell’Amministrazione si batteva per una più equa distribuzione delle risorse idriche. Diventò così una lotta tra poveri, …ciò che mancava era una sufficiente quantità d’approvvigionamento.
Fu la genialità del prof. Terranova ad intuire la soluzione. Accadde che mio cugino Nino Pitino lo invitò ad una battuta di caccia con raduno presso la casa rurale paterna in contrada Cella, lungo l’Irminio. Quel terzo sabato pomeriggio dell’agosto 1966, Saverio si presentò bardato di tutto punto d’ogni componente vestiario che ne faceva un cacciatore perfetto, …ma stranamente senza doppietta (si seppe poi che quel vestiario gli era stato imprestato e che mai fu titolare di licenza di porto d’armi); la sua presenza derivava pertanto più dall’attrazione della novità del rituale venatorio che dalla cattura di selvaggina. Per giungere presso la casa rurale si dovette attraversare un corso d’acqua – una falda acquifera che emergeva spontanea in superficie – largo all’incirca due metri. Notai che alla vista di quella copiosa quantità d’acqua limpida gli si illuminarono gli occhi; la osservò ripetutamente e pose parecchi interrogativi del tipo se era potabile, se era perenne e si abbassò per sorseggiarla. Il lunedì ne parlò con la dirigenza dell’Ufficio Tecnico comunale e già martedì mattino alla sorgente – sita in contrada Cafeo – giunsero funzionari per misurare, prelevare campioni d’acqua e progettare. Fu la sua capacità di amministratore a trovare i fondi, dal bilancio comunale e da un finanziamento dalla Cassa per il Mezzogiorno, per portare in breve tempo quei preziosi 115 litri al secondo al fabbisogno dei modicani. E in questa ‘pratica’ il sindaco fu anche favorito dalla fortuna, come suol dirsi con una ciliegina sulla torta: durante gli scavi per la captazione delle acque fu ritrovata la famosa statuetta in bronzo dell’Ercole che, dopo il dovuto restauro, l’Assessorato regionale ai Beni Culturali decise di affidare in prestito temporaneo al Comune di Modica.
Genialità non seguita da abile gestione.
* Da sempre i modicani usavano scegliere per la balneazione il centro rivierasco di Pozzallo. La contrada Ciarciolo, sulla costa modicana e ricca di una stupenda spiaggia con sul retro ampie dune, era del tutto sconosciuta. Fu il sindaco Terranova ad intuirne la possibile valorizzazione con obiettivi turistici e fu così ‘inventata’ Marina di Modica. Sui suoli coltivati a vigna, con la presenza qua e là di qualche pagghiàru che i contadini utilizzavano per ripararsi in caso di pioggia, cominciarono a sorgere le prime strutture che ospitarono già nel 1966 i primi turisti tedeschi e olandesi. Negli anni a seguire anche i modicani s’affezionarono alla zona e, acquistando piccoli lotti di terreno, vi edificarono la propria ‘casa a mare’. Gradualmente la logica della speculazione dei suoli prevalse sul buon senso e le costruzioni apparvero una accanto all’altra, su strade strette e tortuose, quasi sempre senza marciapiedi. Il sindaco presentò al Consiglio comunale una proposta di regolamento di costruzione che, seppur approvata all’unanimità, fu poi annullata dalla Commissione Prov/le di Controllo poiché non inserita all’interno di un Piano Regolatore Generale. Il tutto sfuggì di mano; né Terranova, né i suoi successori seppero porvi i dovuti rimedi e la speculazione edilizia avanzò più che mai. L’agglomerato urbano a tutto finì per somigliare tranne che ad un funzionale centro balneare. Scomparve ogni forma di turismo e oggi sopravvivono in un generalizzato caos urbanistico migliaia di costruzioni con l’immobilizzazione di miliardi di lire, utili solo per le vacanze estive dei modicani.
* L’AZ.A.SI. (Azienda Asfalti Siciliani), Ente pubblico economico regionale con sede a Modica, fu istituito nel 1960 e fu soppresso con L.R. n° 5 del 20.1.1999. Una storia travagliata, conclusa a tristo fine con ingenti somme di denaro pubblico sperperate. Nacque dalle lotte che le popolazioni di Modica e di Scicli ingaggiarono per un salto che le portasse da una ristretta economia agricola a quella industriale. Il sindaco Terranova, nei cui progetti dominò sempre il pensiero verso forme di sviluppo economico, fu uomo di punta in questa battaglia, unitamente ad altri politici tra i quali spiccò il tenace Virgilio Failla del P.C.I.
All’interno del gruppo AZ.A.SI. ebbe vita l’IN.SI.CEM. (Industria Siciliana Cementi) che iniziò la produzione nel 1970 nello stabilimento di contrada Fargione e che – sotto gestione ANIC (per fortuna!) – fu l’unica unità industriale che produsse profitti. Nacquero altre collegate tra cui l’I.MA.C., la S.CA.M., la KERAZASI, la SER.CON.; tutte sempre maledettamente in passività.
Primo presidente dell’AZ.A.SI. nell’agosto 1969 fu Saverio Terranova. Con un Consiglio d’Amministrazione che gestì le strutture facendo e disfacendo con arroganza in scelte industriali definibili quanto meno azzardate e con un’opposizione politica che piuttosto che rintuzzare s’intrigò spesso nello sfascio, venne a determinarsi un sovrannumero di assunzioni al di là di ogni scelta sensata: solo all’I.MA.C. (Industria Manufatti in Cemento) le assunzioni clientelari di personale arrivarono a 367 dipendenti con un assurdo rapporto tra impiegati e operai di 1 a 2,7. Di tanto in tanto si effettuavano a Modica incontri – ufficiosi e ‘segreti’ – a cui partecipavano il presidente, il vice-presidente, il rappresentante del sindacato CGIL (anche in quota P.C.I.) e ‘deliberavano’ l’assunzione per chiamata diretta di ulteriori dipendenti; la proporzione era 2 alla D.C., 1 al P.S.I., 1 al sindacato + P.C.I.
Dopo il primo, fu creato un secondo Consiglio di Amministrazione AZ.A.SI., composto questa volta con rappresentanza diretta di tutti i gruppi politici democratici. Ma cambiò ben poco, il destino finale dell’AZ.A.SI. fu quello dello scioglimento.
Il prof. Saverio Terranova, promotore in prima fila dell’idea di sviluppo industriale della zona, ne uscì con immagine offuscata, per un fallimento dovuto un po’ per incapacità e un po’ per cattiva gestione, …non solo per colpe sue, ma di sicuro anche sue.
Le scelte nocive.
* ‘L’errore più grande’, così intitola il prof. Terranova al paragrafo 4.11 della parte prima della sua opera ‘Contributo alla storia di Modica’ riferendosi alla demolizione della storica chiesa di Sant’Agostino sul Corso Umberto I e alla conseguente costruzione di un orrendo palazzo a 9 piani che ha deturpato vistosamente la preesistente armonia urbanistica. E’ da ritenere che l’analisi proposta dal prof. Terranova costituisca un postumo atto di contrizione per il grave errore del rilascio da parte del Comune di Modica dell’autorizzazione alla edificazione. I fatti -– demolizione e inizio costruzione – avvennero negli anni 1963-1964, in piena sindacatura Terranova. Nel volume a pagina 186, l’Autore afferma che furono altri amministratori a concedere la licenza edilizia, ma ciò non risponde al vero. Dal fascicolo del progetto risulta che la licenza fu rilasciata in data 17.8.1963 a firma del sindaco Saverio Terranova. Ma, purtroppo e per la verità storica va detto, si era verificato un aggravante: in data 17.6.1963 la Giunta comunale deliberò che gli edifici sul Corso Umberto non possono essere sopraelevati nel tratto da Piazza Municipio-San Francesco La Cava, mentre quelli sul tratto Piazza Municipio-Stretto possono esserlo sino a 30 metri di altezza. Come interpretare tale ingiustificata ed assurda direttiva della Giunta se non come un regalo all’intento speculativo del costruttore ing. Angelo Tumino ( 2 ), amico personale del sindaco?
Eppure una visione d’opposizione a quello sconcio urbanistico sul Corso Umberto ebbe a mostrarla l’insegnante Nannino Ragusa – esponente del P.S.I. – che con tenacia battagliò contro la demolizione della chiesa e la costruzione del palazzaccio. Ma il sindaco Terranova mostrò d’appartenere all’altra schiera, quella che riteneva che i palazzoni erano segno di progresso, di avanzamento di una cittadina che diventava città. Da lì a poco vennero abbattuti anche i due palazzi a dx e a sx della chiesa per altrettante edificazioni, lasciando alle future generazioni una vera e propria vergogna, come sino ad oggi si può constatare.
* Una pratica palesemente in voga anche nella Modica repubblicana del secolo scorso fu quella del clientelismo; un sistema di favoritismi che il potere politico-amministrativo elargiva a propri adepti in cambio di ‘devozione’ alla causa del Partito o del capocorrente, specie negli appelli elettorali. Una pratica nociva perché talvolta comportava un carico per la collettività (tipo le eccessive assunzioni in Enti pubblici) ed in ogni caso irrispettosa del principio di uguaglianza tra tutti i cittadini.
Nei decenni in cui la D.C. mieteva vasti consensi elettorali (al Consiglio comunale di Modica giunse sino a 24 consiglieri su 40) l’esercizio clientelare era sua esclusiva; assunzioni per chiamata diretta venivano convogliate al Comune, all’Ospedale, all’AZ.A.SI. e tramite ‘raccomandazioni’ anche presso ditte private che così ricambiavano certi favori ricevuti. Man mano che i consensi elettorali alla D.C. vennero a calare, nella ripartizione clientelare divennero attivi anche altri schieramenti politici.
Il prof. Terranova non disdegnò di prendere parte attiva al ‘gioco’ della prassi clientelare. Mantenne sempre aperta una segreteria personale in locali (siti sulla breve gradinata che da Corso Umberto porta a via Campailla) a pochi metri dalla sezione della D.C. (sita in un basso al civico 145 del Palazzo dell’ex-Tribunale, era intitolata ad Emanuele Guerrieri). Il confronto tra le due sedi era impari: la sezione D.C. veniva frequentata solo in occasione dei direttivi o delle assemblee (alcune sedute restarono rinomate per le lotte tra le varie correnti, con gran vociare e qualche sedia che si staccò dal pavimento); la segreteria del prof. Terranova era ogni sera sempre affollata da coadiutori e da popolani (disoccupati, nulla tenenti, invalidi) disposti ad ogni servizio di militanza in attesa della grazia promessa. La lottizzazione dei posti presso Enti pubblici fu vistosa negli anni di vacche grasse, ma la tentazione ad ottenere sempre più consenso politico continuò anche quando le vacche rimasero in dieta. Ricordo che in una seduta di Giunta ( 3 ) – con le casse comunali letteralmente a secco al punto d’avere difficoltà a fornire di carburante le autovetture dei VV.UU. o di scope i netturbini comunali – il prof. Terranova propose l’assunzione per chiamata diretta di 5 unità di dattilografi da assegnare all’Ufficio Urbanistica e all’Ufficio Legale con la motivazione che tali uffici rilasciavano i propri atti con notevole ritardo. Il dibattito in Giunta durò almeno un’ora, per via della mia opposizione all’assunzione di quei nominativi nella cui fronte leggevo la variegata appartenenza partitica e che comportava un ulteriore carico sul già deficitario bilancio comunale. In ogni caso chiesi l’esplicazione di un normale concorso. Il sindaco insistette sull’urgenza della deliberazione e passò alla votazione. Presenti in sei, ritenni per protesta di abbandonare la seduta e la delibera con i poteri dell’urgenza fu approvata (con voto valido di 5 componenti presenti su 9 di diritto). L’indomani si presentarono i neo cinque dipendenti comunali. Da lì a qualche giorno mi fu riferito che nessuno degli assunti aveva capacità professionali. Dopo qualche settimana uno dei cinque – figlio di un anziano militante del P.C.I. – fu distaccato con ordine di servizio dal proprio ruolo ed assegnato all’Ufficio di Segreteria. Al presente quel dipendente è capo-ufficio di un Ufficio con un solo dipendente, cioè egli stesso. A seguito di tale atto amministrativo ebbi a vivere una vera e propria crisi personale. Per almeno due giorni mi posi il problema se era il caso di dimettermi, con la conseguente caduta di Sindaco e Giunta. Tre considerazioni mi fecero desistere: la probabile successiva composizione di governo della città che per nulla appariva migliorativa; mi sentivo la coscienza a posto nel rendere un servizio all’Ente Comune con presenza quotidiana presso l’assessorato dalle 8,30 alle 13,30; con i fondi azzerati non disponevo di alcun potere se non la possibilità di garantire l’ordinaria amministrazione, le 250 mila lire mensili di indennità che percepivo non sempre bastavano a saldare il conto presso il bar vicino a Palazzo San Domenico per le varie consumazioni che la cortesia imponeva di garantire ai terzi a conclusione dei vari incontri istituzionali. In ogni caso, quella Amministrazione durò in carica appena nove mesi e tra insuperabili difficoltà finanziarie poté aggiungere ben poco di positivo alla storia di Modica.
Un giorno, davanti ai bassi del Municipio, mi trovai a discutere col sindaco su certe problematiche di igiene urbana. Ci vennero incontro due dipendenti comunali e quando si avvicinarono girarono entrambi lo sguardo dall’altra parte senza salutare. Saverio se ne accorse e le rughe del volto s’infossarono a mostrare la sua sofferenza. Mi disse: “Piero li ho fatti entrare io al Comune venti anni fa, gli ho dato una sistemazione per la vita e per le loro famiglie, erano disoccupati da anni; vero che mi hanno aiutato in alcune campagne elettorali, ma poi è finita lì …e sai perché? Perché volevano che le rispettive mogli fossero assunte presso le lavanderie o le cucine dell’Ospedale Maggiore. Quando capirono che giammai avrei soddisfatto la loro richiesta, mi hanno tolto anche il saluto”.
Va precisato che giammai si venne a conoscenza, né alcuno sospettò, che il prof. Terranova ebbe a godere di vantaggi economici personali da tali pratiche clientelari; a spingerlo era un misto tra la sua sensibilità umana verso i bisognosi e l’esigenza viscerale che sempre ebbe di ‘affetto politico’ e insistette in tale nefasta pratica, …anche quando sarebbe stato il caso di smettere ‘per il bene di Modica’.
L’uomo di cultura. Fu docente di storia e filosofia all’Istituto Magistrale e al Liceo Scientifico di Modica. Testimoni della sua valenza di insegnante sono i numerosi ex-allievi che a distanza di anni vantano tuttora di aver ascoltato dissertazioni a silenzio del volo di mosca. Il grado di preparazione e le capacità dialettiche che possedeva ne facevano un raffinato intellettuale che, solo se avesse voluto, avrebbe potuto cimentarsi in una brillante carriera universitaria.
Fu autore di diverse pubblicazioni a base di analisi sull’economia iblea: ‘Strutture ed infrastrutture urgenti ed indispensabili per la provincia di Ragusa’; ‘L’arte della rinuncia. Uomini e fatti nel mancato sviluppo della provincia di Ragusa’; ‘Destino di una provincia: morire in un mare di petrolio’; ‘La Pira e Mattei nella politica italiana: 1945-1962’; ‘Dalla bottega all’impresa. Storia dell’artigianato della piccola e media impresa nel secolo XX’; ‘Il costo del denaro per le PMI’; ‘Le piccole e medie imprese nell’area di libero scambio’; ‘Una provincia in Sicilia. Storia economica della Provincia di Rg’.
Saverio Terranova si cimentò anche nella produzione di un romanzo: ‘Una formica nera in una notte nera’. E’ il primo, e l’unico, suo romanzo. Ambientato in una città di provincia nel profondo Sud-Est della Sicilia, che verosimilmente è Modica. Una comunità in declino – senza sorriso – che proviene da un glorioso passato di vasta Contea e vive uno sconfortante presente che non la vede neanche capoluogo della provincia più piccola d’Italia, … e dal futuro dubbio. I personaggi sono inventati, ma i loro ruoli reali; per cui il romanzo è sostanzialmente autobiografico, con intento più storico che letterario. Di questa Modica vengono descritti i suoi figli migliori, puliti e innocenti, che fanno politica per i loro ideali e che combattono una borghesia arretrata ed arrogante; ma che poi vengono colpiti da atroci sventure: Marco che incontra una fine improvvisa e crudele e Franco che è coinvolto nel vortice travolgente della notte nera della politica. Il messaggio che l’Autore vuole mandare è che soltanto l’amore può salvare: l’amore per la donna, per la vita, per la politica, per la sua amata Modica. Ed il maggior soggetto dell’amore è la donna, che è ‘il vero poema della natura’, che nel mondo è ‘la vita, il bene, il bello, la gioia e la speranza’.
Il volume fu stampato nel dicembre 2013 per la Book Sprint; una edizione poco fortunata, con refusi vari e i quinterni malamente incollati. Nel novembre 2014 si provvide ad una dignitosa ristampa – rivisitato il testo e ben cuciti i quinterni – per le Edizioni Associazione Culturale ‘Dialogo’.
L’opera maggiore a cui il prof. Terranova si dedicò fu il suo ‘Contributo alla storia di Modica’ edito nel 2008 – in due volumi: parte prima dal 1945 al 1980, parte seconda dal 1980 al 2006 – per un totale di 506 pagine. L’Autore, protagonista di primo piano della scena politica modicana, di certo era in possesso del necessario bagaglio di memoria storica per produrre un ottimo resoconto. Purtroppo non fu così, la ciambella non riuscì col buco. I due volumi, a parte la moltitudine di refusi che contengono, presentano importanti omissioni, citazioni incomplete, alcune distorsioni della realtà dei fatti. E’ probabile che l’opera – corposa e impegnativa – sia stata licenziata dall’Autore con una certa fretta oppure che necessitasse di condizioni mnemoniche più verdi. Fatto sta che critiche pervennero da più parti e Saverio percepì che v’era bisogno di una revisione e mi annunciò di aver cominciato a lavorarvi, compatibilmente con i tempi utili che gli lasciava quella insufficienza venosa con cui ultimamente combatteva. Immeritata in ogni caso è la fine che questa opera ha fatto sul mercato. A seguito della chiusura della casa editrice a cui competeva la vendita, l’Autore rinunciò ai diritti di autore e i volumi al presente sono venduti a peso in libreria, € 2 a volume.
Anche io ebbi a formulare alcune critiche, almeno per due contesti.
* A pagina 47 della seconda parte, laddove viene citato il ‘processo Stornello-giornalisti’ per la vasta eco che ebbe nell’opinione pubblica, Saverio afferma che ‘il giornalista Giuseppe Calabrese, sul quindicinale Il Dialogo del gennaio 1984, aveva pubblicato un articolo…’. I fatti furono altri. Fu chi scrive a stendere sul mensile (e non quindicinale) Dialogo (e non Il Dialogo) un lungo articolo dal titolo ‘Le erbe amare dell’on. Stornello’. In pari data il collega Giuseppe Calabrese scrisse sul Corriere di Modica una breve nota. Ambedue gli scritti furono critici circa la trasparenza di certi atti compiuti dall’on. Salvatore Stornello. Ne scaturì una querela per diffamazione a mezzo stampa contro i giornalisti Vernuccio e Calabrese. Il lungo processo, si concluse in primo grado – dopo nove ore di camera di consiglio – con una sentenza di condanna ad un’ammenda di 80.000 lire a carico dei giornalisti. L’opinione pubblica ebbe a sottolineare quanto così bassa era quantificabile l’onorabilità dell’on. ispicese. In appello a Catania giunse la remissione della querela, con a carico di Stornello il pagamento delle spese legali e processuali.
* A pagina 93 della parte seconda, in relazione alla disastrosa gestione finanziaria del Comune di Modica nel 1990 (l’ultima sindacatura di Terranova), Saverio a proposito delle riduzioni di spese correnti afferma. ‘Terranova …tagliò intere linee di illuminazione soprattutto a Marina di Modica e Maganuco, ove esisteva un’illuminazione a giorno anche nell’inverno’. L’affermazione non risponde al vero, o è meglio dire con diplomazia che deriva da ricordi deviati.
Già nell’agosto del ’90 l’ENEL – dopo reiterati solleciti di pagamento del debito accumulato nei decenni scorsi ed ammontante a cifre esorbitanti di milioni – pensò bene di interrompere l’erogazione d’energia elettrica a Palazzo San Domenico, sede centrale degli uffici del Municipio. Per tre giorni tutti i servizi si immobilizzarono, i dipendenti passeggiavano chiacchierando nei corridoi. Il sindaco Terranova era ricoverato in ospedale a Ragusa. Dopo gli inutili reiterati appelli che unitamente al vice-sindaco Carmelo Carpentieri formulammo all’ENEL per il riallaccio, pensai di incatenarmi al termosifone della stanza del direttore presso la sede ENEL di Modica. Il gesto di protesta, con cui richiedevo l’immediato ripristino dell’energia, mosse le forze dell’ordine e l’interessamento del Prefetto. L’incatenamento, iniziato alle ore 9, cessò alle ore 16, allorquando l’ENEL predispose il riallaccio a Palazzo San Domenico ( 4 ).
Con l’inizio della stagione invernale presentai in Giunta un ‘progetto’ che prevedeva, al fine di ridurre il consumo energetico, il ridimensionamento della pubblica illuminazione a Marina di Modica e nelle strade lungo le contrade rurali: l’oscuramento di un lampione ogni due insistenti lungo la rete stradale comunale, escluse le piazze, le aree di parcheggio, gli incroci.
Iniziammo con Marina di Modica; con la competenza dell’elettricista comunale effettuammo due interventi, dalle ore 18 alle 23, al fine di renderci conto dell’effetto al buio. Dopo pochi giorni, fui convocato da Saverio, il quale mi informò di aver dato mandato all’elettricista comunale di ripristinare lo stato di illuminazione preesistente: ‘Piero l’ho dovuto fare, altrimenti i residenti ci avrebbero preso a sassate’. Fu questa la misera fine di quel sensato progetto di riduzione di spesa. Il Comune ci rimise lo straordinario (per l’oscuramento prima e per il ripristino dopo) dovuto all’ elettricista comunale. Da parte mia registrai una sconfitta politica, da assessore ritenuto tirchio e fastidioso, oltre s’intende le due serate perse a vuoto. Inutile dire che il previsto successivo intervento presso l’illuminazione stradale delle contrade rurali giammai ebbe luogo.
Sarebbe auspicabile da parte della figlia, avv. Patrizia, una accurata ricerca tra il carteggio lasciato da Saverio al fine di verificare se l’annunciata revisione della Storia è stata completata. In caso positivo è doveroso provvedere alla riedizione della Storia, onde lasciare alla comunità modicana più puntuali ed esaustive tracce dei propri percorsi.
A questo personaggio le cui orme sono rimaste impresse nella Modica della prima, della seconda e terza repubblica, con tragitti pieni di onori e di delusioni (una per tutte si pensi a quella ‘batosta’ della mancata elezione a semplice consigliere comunale nelle amministrative del 2002 in Forza Italia), ad un figlio che alla sua città offrì servizio e competenza, compiendo anche errori che – come afferma nella premessa alla sua Storia – ‘spera che gli siano perdonati se tra di essi qualcosa ha fatto per Modica’ è doveroso un ricordo perenne. Che gli sia attribuito possibilmente con contiguità ad un altro prestigioso personaggio, il prof. Angelo Scivoletto, che la mala politica volle sempre separati ed avversari e che l’ossuta falce col colpo finale volle quasi uniti per sempre nel lasso di appena dieci giorni.
L’idea della intitolazione di due vie attigue è da ritenere che possa essere un buon suggerimento. #
Piero Vernuccio
- In quegli anni l’elezione del sindaco avveniva all’interno dei 40 eletti componenti il Consiglio comunale. La prima elezione a sindaco del prof. Terranova avvenne il 6.6.1961, all’età di 30 anni (era stato eletto per la prima volta consigliere nella lista della D.C. nella tornata amministrativa del 6.11.1960) e rimase in carica sino al 1.9.1964.
Riportiamo le altre date di inizio e fine sindacatura: dal 10.2.1965 al 6.7.1965; dal 6.7.1965 al 5.12.1967; dal 5.10.1973 al 7.3.1974; dal 18.7.1981 al 11.3.1983; dal 12.3.1983 al 10 8.1984; dal 11.8.1984 al 10.12.1984; dal 7.7.1990 al 15.3.1991.
Le date di sindacatura – talvolta parecchio ristrette – fanno ben trapelare il ‘travaglio’ politico che la Modica repubblicana ebbe a subire dal 1947 al 1993. Tale ‘travaglio’, all’interno delle maggioranze politiche e tra maggioranze ed opposizioni, condizionò la continuità amministrativa di quasi tutti i sindaci: in 47 anni operarono a Modica ben 37 sindaci!
La nuova legge elettorale, che prevede l’elezione diretta del sindaco, fu applicata a Modica nelle elezioni amministrative del 21 novembre 1993 con l’elezione a sindaco dell’avv. Carmelo Ruta con la lista Alleanza per Modica (ex Partito Democratico della Sinistra). Da tale data i componenti il massimo consesso cittadino passano da 40 a 30.
( 2 ) L’ing. Angelo Tumino, da Ragusa, nel progetto di edificazione risulta proprietario, progettista, direttore dei lavori. Subirà nel 1972 la disavventura di morte violenta ed a seguito di questo assassinio se ne verificherà un altro con l’uccisione del giovane Giovanni Spampinato, giornalista de L’ORA di Palermo e collaboratore di DIALOGO.
( 3 ) Siamo nel 1990 e fu l’ultima sindacatura del prof. Terranova. La Giunta godeva di una maggioranza di appena 21 consiglieri su 40; ne ero componente in qualità di Assessore all’Ecologia (nelle amministrative del maggio 1990 nella lista dei Verdi fui eletto consigliere comunale a Modica e consigliere alla Provincia Regionale di Ragusa, con opzione al Consiglio di Modica).
( 4 ) L’ENEL promosse querela nei miei confronti per interruzione di pubblico servizio all’interno della stanza del direttore. Il processo in primo grado presso il Tribunale di Modica mi vide assolto, con espressioni di encomio per il comportamento adottato in difesa del Comune. In sede di appello a Catania mi trovai impelagato in screzi e sgambetti vari tra magistrati; il processo si concluse con la mia condanna al pagamento di un indennizzo di 800.000 lire a favore dell’ENEL. A conclusione della lettura della sentenza in aula, il legale difensore degli interessi dell’ENEL comunicò alla Corte che l’Ente – soddisfatto della condanna morale – rinunziava da subito alla pretesa di riscuotere l’indennizzo.