Lavorare per un pezzo di droga. Questo è il nuovo sistema adottato dal clan dei Casamonica.
Prima che arrivassero i controlli a tappeto delle Forze di polizia, nel quartier generale dei Casamonica, la borgata Romanina a Roma, c’era un continuo via vai di “clienti”. Negli anni d’oro sembrava di trovarsi nel bel mezzo del parcheggio di un centro commerciale, nelle ore di punta. Nel supermercato, però, l’unica merce in bella vista era la droga. I tossici aspettavano in coda con autovetture e motocicli il proprio turno per comprare la dose quotidiana di “roba”.
Le vedette erano ben distribuite e controllavano il territorio, segnalando immediatamente l’eventuale arrivo della polizia.
Anche l’ultima relazione della Direzione nazionale antimafia parla chiaro: “Molto attivo nel settore degli stupefacenti rimane il clan dei Casamonica”.
I Casamonica, sono famiglie di origine nomade, di etnia sinti, tra loro legate da vincoli di parentela, insediate nella periferia Sud di Roma (Tuscolana, Anagnina, Tor Bella Monaca, Pigneto, San Basilio, Morena, Ciampino, Vermicino e altre aree meridionali della città).
Originari dell’Abruzzo, i Casamonica si sono trasferiti nella Capitale negli anni ’60 e ’70, e si sono imparentati tra loro e con altre famiglie Rom, gli Spada e i Di Silvio. Il clan, come detto a connotazione familiare, è dotato di una propria autonomia decisionale ed economica, ed è dedito oltre che allo spaccio di stupefacenti, anche all’usura, alle estorsioni e alle truffe. Negli ultimi tempi sono anche entrati nel giro delle slot, con la gestione di alcuni circoli.
La crisi economica che sta attraversando il nostro Paese, le inchieste e il clamoroso funerale della scorsa estate hanno però cambiato un po’ gli equilibri.
Anche gli affari dei Casamonica non vanno più come una volta.
Partiamo dal funerale del capostipite Vittorio. I Casamonica amano ostentare le loro ricchezze e non disprezzano le luci della ribalta, offerte in quell’occasione anche dalla Rai con la trasmissione “Porta a Porta” di Bruno Vespa.
Ma, giova essere al centro dell’attenzione?
L’appariscente rito funebre può avere due chiavi di lettura:
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E’ stata una dimostrazione di forza della criminalità organizzata;
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I gruppi criminali di ben altra statura (camorra, cosa nostra e ‘ndrangheta), che da decenni hanno invaso Roma – solo in pochi se ne erano accorti – tenendo strategicamente un basso profilo, non hanno per nulla gradito questo interesse mediatico.
E’ evidente che tutto ciò ha ulteriormente alimentato l’attrattiva della stampa, anche di quella internazionale, e ha ancor più innalzato il livello di attenzione da parte degli organismi investigativi.
L’ultimo colpo è stato inferto, il mese scorso, dai finanzieri del Gico con il sequestro di beni per circa 4 milioni di euro ad uno dei Casamonica, indiziato di associazione mafiosa e sospettato di riciclare denaro della famiglia della Romanina.
Ora le code di auto in quella borgata non si vedono più e i clienti sono diminuiti. I tossici parcheggiano i propri mezzi lontano e raggiungono alla spicciolata la meta a piedi. Oltrepassano il cancello ed entrano nel villino, salgono su per le scale e trovano un altro cancelletto chiuso. Con il denaro in mano suonano il campanello. Si affaccia una donna con la dose di cocaina o eroina dentro un bicchierino di plastica. Lo scambio avviene proprio lì.
Se dovesse arrivare la polizia hanno tutto il tempo necessario per buttare lo stupefacente nel water, mentre il tossico è pronto a ingerire la dose appena presa. Naturalmente, nel frattempo il quartiere è presidiato e vigilato dalle vedette – alcune di queste circolano in macchina – pronte a segnalare ogni movimento sospetto.
La crisi e la ribalta, quindi, hanno messo un po’ in crisi il mercato degli stupefacenti.
E nella zona dei Casamonica operano clan molto più temibili di loro. Sono gruppi camorristici alleati, capeggiati da Domenico Pagnozzi (clan conosciuto come “i napoletani della Tuscolana”, operante nelle province di Avellino e Benevento, strettamente legato al clan dei casalesi) e Michele Senese, esponente di spicco del clan Moccia.
Uno dei settori più redditizi del clan Pagnozzi è proprio il traffico di stupefacenti. Il clan controlla la distribuzione nelle zone di Quarticciolo, Centocelle, Borghesiana e Tor Pignattara ponendosi in relazione di supremazia sugli altri gruppi operanti nelle medesime zone.
Come si legge nella citata relazione della Dna “una delle più significative dimostrazioni della forza di intimidazione esercitata dal clan Pagnozzi, è rappresentata dall’attività di recupero crediti svolta nei confronti del clan Casamonica, esposti per un debito probabilmente generato dall’acquisto di stupefacente. Le conversazioni intercettate consentono di affermare l’eccezionale capacità intimidatoria del clan, in grado di imporsi anche nei confronti di un altro sodalizio criminale considerato tra i più temibili del panorama criminale del centro Italia”.
Insomma, come si rileva dal procedimento penale n. 28411/09, indagine Tulipano, neanche i Casamonica possono dormire sonni tranquilli.
Poi c’è da tenere in considerazione che molti tossicodipendenti non hanno neanche più i soldi per comprare la droga. Non tutti delinquono per racimolare il denaro necessario per acquistare la dose. E allora ecco l’intuizione del clan.
“Vuoi la droga? Lavori per noi”.
Il gioco è fatto. Si sa le ville dei Casamonica sono enormi, numerose e necessitano di manutenzione. Usano i tossicodipendenti per svolgere i lavori di ristrutturazione, idraulica, pulizia. C’è il tappezziere, l’elettricista e addirittura chi va a stirare per un pezzettino di coca o eroina. E in questo modo la dipendenza raddoppia ed è difficile uscirne fuori. Queste persone sono legate a doppio filo, anzi sono “incatenati” ai loro fornitori di droga.
Così come affermano gli inquirenti, l’elevato numero dei componenti e la loro totale chiusura verso l’esterno, conferisce al gruppo una certa forza intimidatoria, che viene sfruttata dagli appartenenti per assumere atteggiamenti di prevaricazione nei confronti dell’esterno, avvalendosi anche della forza intimidatrice oramai insita nel nome Casamonica.
Ne sa qualcosa un artigiano marmista – in questo caso non è questione di droga – che, dopo aver eseguito diversi lavori, osava pretendere di essere pagato per il lavoro svolto. L’uomo ebbe il coraggio di denunciare i Casamonica, ma fu picchiato selvaggiamente e minacciato di morte.
Ma come dice il coraggioso marmista iraniano Mehdi Dehnavi “loro non sono i padroni di Roma, loro non sono nulla”.
Se non ci fossero i traditori tra le forze dell’ordine, queste famiglie mafiose sarebbero già sparite. Avete dimenticato il mercato della prostituzione.
I supermercati e le onoranze funebri.
Bravi!!!