“Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene”. (Paolo Borsellino)
È con questo spirito che abbiamo, due mesi fa (quando dai più venimmo etichettati come “pazzi e visionari”), iniziato a parlare di ciò che accadeva e (probabilmente) accade a Scicli: dell’inchiesta annosa ed attenta della Dda di Catania e delle scrupolose indagini condotte in città dai Carabinieri (con ogni mezzo possibile ed immaginabile, dalle intercettazioni telefoniche a quelle ambientali).
Con questo spirito vogliamo proporre, ai nostri lettori, una inchiesta giornalistica (in più parti) per assolvere al diritto/dovere di informare, relativamente ai tanti lati oscuri di una città meravigliosa. Una città dalla cultura inenarrabile pari solo alla propria bellezza che, però, troppo spesso (come si legge nelle “carte” d’indagine) ha ceduto il passo “all’omertà”, alla delinquenza ed al malaffare.
“Sono sempre Franco “u trinchiti”! Il vostro Padrone! Digli a tuo padre che si fa le valigie e se ne va da Scicli oppure viene e si mette in ginocchio. Altrimenti vi scanno a tutti come le ciavorelle (agnellini)!”.
Questa è solo una delle tante intercettazioni e conversazioni che vi proporremo, grazie alla quale si nota la forza intimidatoria e le minacce che i (presunti) associati all’associazione mafiosa esercitavano nei confronti di chiunque, mettendosi in mostra per una capacità di violenza che non risparmiava nessuno, anche per futilissimi motivi.
Addirittura, Franco Mormina, in un’altra intercettazione telefonica, parlando con un personaggio “molto in vista” di Modica (CHE VEDREMO NELLA PROSSIMA PARTE, RELATIVA ALLE AFFISSIONI DEI MANIFESTI), afferma: “Appena noto una carta (ndr. Manifesto elettorale) a Scicli, salgo a casa e ammazzo anche quelli che ancora devono nascere. Informati chi è “Franco u Trinchiti” Anche se vai dai Carabinieri “ma suchi”! Appena gli sbirri arrestano me, ne rimangono 500 come me e vengono fino a casa. Io in carcere, ma 500 saranno addosso a te!”
Le indagini dei Carabinieri presero le mosse da due circostanze, gravi ma diverse fra loro: la prima il ferimento, con arma da fuoco, di Guglielmo Fidone avvenuto a Scicli il 6 marzo del 2007, il cui responsabile fu individuato in Franco Mormina (“u trinchiti”, come ama definirsi). Il secondo, relativo alla questione dei manifesti, denunciata dall’allora Primo Cittadino, Bartolomeo Falla, nella locale Stazione dei Carabinieri.
Dalle indagini si vide, sin da subito, come due fossero le famiglie che “comandavano” e si spartivano gli affari a Scicli: Gesso e Mormina. L’unione delle due famiglie viene confermata proprio da alcune intercettazioni, una su tutte quella fra Mauro Gesso e Franco Mormina. “Mauro – dice Mormina – noi siamo un’unica famiglia, un’unica cosa e non può succedere mai nulla”. Ed ancora “Io non sputo – afferma sempre Mormina – nel piatto dove mangio”.
E, del (presunto) sodalizio criminale, Franco Mormina e Roberto Gesso, ne erano i capi assoluti.
La (presunta) associazione mafiosa, unita da un fortissimo vincolo associativo, si è sempre avvalsa della forza di intimidazione e della induzione (come si diceva prima) alla omertà.
Dalla attività di indagine dei Carabinieri emerge come i soggetti potevano controllare il territorio, “acquisendo in modo diretto ed indiretto il controllo delle attività economiche, disponendo di armi a piacimento, di legami con esponenti di altri sodalizi criminali, di legami con politici locali ed anche con persone delle Forze di Polizia, da cui ricevevano informazioni sulle indagini”.
Già nel primo periodo di indagine i Carabinieri si resero conto di come, ad esempio, l’organizzazione mafiosa avesse rapporti con altre consorterie criminali (di stampo mafioso) operanti in altre realtà: è il caso, in particolare, del gruppo di Vittoria, riconducibile a Vito Panasia e Michele Sauna.
Una lampante testimonianza di questi “ottimi rapporti” fra le famiglie di Scicli e di Vittoria, si ha quando fra il dicembre 2007 ed il gennaio del 2008 il pericoloso latitante Giuseppe Scardina (vittoriese) venne ospitato in più abitazioni nel comune sciclitano.
Solo con le intercettazioni i Carabinieri dell’Arma constatarono che il gruppo sciclitano ne favorì la latitanza, utilizzando anche le abitazioni di una signora e, soprattutto, di Fulvio Mormina, in contrada Licozia.
Chi sono (fra arrestati e denunciati in stato di libertà) i componenti della (presunta) associazione mafiosa (fino al 2012)?
I Fratelli Gesso: Roberto (presunto capo con Franco Mormina), Mauro e Massimiliano – famiglia coinvolta (stando a quanto scritto dai Carabinieri) in tutte le vicende penali di criminalità organizzata registrate in passato a Scicli e già capeggiata dal padre Palmiro Alfonso Gesso, per le quali hanno subìto e scontato condanne.
I Fratelli Mormina: Franco (presunto capo con Roberto Gesso) e Fulvio.
Ignazio Mormina (figlio di Franco).
Cristian Carnemolla, Giacomino Fidone e Luigi Musumeci.
A questi, secondo le indagini, era riconducibile il controllo su svariate attività illecite poste in essere a Scicli e frazioni tra cui il traffico di sostanze stupefacenti (cocaina ed hashish) e le estorsioni, nonché l’esercizio della violenza e delle minacce finalizzato ad ottenere l’affidamento in esclusiva dei lavori di affissione dei manifesti elettorali dei vari personaggi candidati alle elezioni politico/amministrative intercorse nel periodo d’indagine.
La disponibilità di armi da parte dell’associazione
Numerosi appartenenti al sodalizio mafioso, fra i quali Franco Mormina, il figlio Ignazio, Fulvio Mormina e Roberto Gesso, hanno avuto la disponibilità diretta di armi.
Al contempo, il sodalizio dispone di armi che, di volta in volta, gli vengono messe a disposizione dai fiancheggiatori tra i quali (stando alle indagini ed alle “carte”, altri due denunciati in stato di libertà) Giovanni Mormina, fratello di Franco e di Fulvio.
In alcuni casi queste armi sono state usate per fronteggiare nemici o intimidire le vittime.
Delitti attribuiti all’associazione
A carico dell’associazione, stando alle carte d’inchiesta, anche l’omicidio del pregiudicato Giuseppe Drago (avvenuto il 28 ottobre del 2007), per il quale il Tribunale di Modica, con rito abbreviato, condannò Giovanni Pacetto, Maria, Antonino ed Elena Ferrante.
L’omicidio avvenne alla luce del sole, mediante l’uso di armi da fuoco (pistola e fucile), in una via del popoloso rione Jungi di Scicli. Molte persone assistettero all’esecuzione.
Tali modalità sono sintomatiche della spavalderia e della pericolosità sociale degli autori che confidavano nella condizione di omertà dei testimoni che avevano assistito al delitto.
L’omicidio di Drago è pertinente – secondo i Carabinieri – alla indagine, perché diretta conseguenza dell’attività di spaccio di Antonino Ferrante, “socio” di Franco Mormina nell’attività di spaccio e “punto di riferimento” di numerosi tossicodipendenti di Scicli e di altri centri della provincia di Ragusa.
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