Scicli non è una città mafiosa. Questo concetto, ripetuto da più parti in questi giorni, mi sembra una ovvietà ma, a scanso di equivoci, voglio sottolinearlo anche io.
La città di Scicli è una realtà culturalmente importantissima, con altissime personalità del mondo della cultura e della società civile, che portano in auge il nome della città e nulla hanno da spartire con l’infamante accusa di mafia; così come la cittadinanza, che è – sono convinto – in maggioranza “sana” e fuori da logiche mafiose.
Ciò detto – e ripetuto – mi sembrava andasse da sé che non si potesse fare “di tutta l’erba un fascio”. Perché mai, nessuna persona di buon senso, può pensare che per la seppur presente (e presunta) “cupola mafiosa” sgominata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catania, si possa affermare che “tutti sono uguali”.
Fa benissimo, quindi, chi lavora per respingere questo marchio.
E non può essere neanche un avviso di garanzia (a tutela dell’indagato) per il Primo Cittadino, Franco Susino (indagato per 416 bis, cioè associazione mafiosa), a rendere “indagata” un’intera città, un’intera collettività.
No, mi unisco al coro: “Scicli non è una città mafiosa”.
Però per il bene di questa città meravigliosa, non bisogna mettere la testa sotto la sabbia, bisogna avere fiducia nelle Istituzioni, negli Inquirenti e nella Magistratura, rispettandone l’operato sempre e comunque.
L’indagine dei Carabinieri di Modica, per delega della Dda di Catania, è stata attenta, precisa e scrupolosa. Vede nomi e cognomi chiamati a rispondere, alcuni già nelle Patrie galere, che avranno tutto il diritto di difendersi, senza però strumentalizzare la Città (LEGGI L’INCHIESTA).
Perché se è vero, come è vero, che Scicli non è una città mafiosa, ritengo non si debba cavalcare questo concetto per difendersi.
In un portafrutta possono esserci mele marce, non per questo tutte le altre mele saranno marce. Quelle marce, però, devono essere “buttate”.
Ecco perché guardo con fiducia e speranza a quelle frasi del documento diffuso in questi giorni, nelle quali si fa esplicito riferimento al rispetto del lavoro della Magistratura e degli Inquirenti.
Discorso diverso, faccio un breve accenno, è lo scioglimento del Comune che niente ha a che vedere con il lavoro degli Inquirenti e che, invece, è sotto l’attenta lente di ingrandimento della “triade” prefettizia, composta da autorevoli personalità che nulla lasceranno al caso.
In questo caso, è anche ciò d’uopo ricordare, l’Ente viene sciolto se sussistono (cito testualmente) “semplici “elementi” (e quindi circostanze di fatto anche non assurgenti al rango di prova piena) di un collegamento e/o influenza tra l’amministrazione e i sodalizi criminali, ovvero è sufficiente che gli elementi raccolti e valutati siano “indicativi” di un condizionamento dell’attività degli organi amministrativi e che tale condizionamento sia riconducibile all’influenza ed all’ascendente esercitati da gruppi di criminalità organizzata”.
Quindi attenzione a non fare confusione ed a rispettare il lavoro di chi sta operando e le successive decisioni del Prefetto e del Consiglio dei Ministri.
In ultimo mi trovo in totale accordo con l’analisi fatta e l’allarme lanciato dal Giudice Salvatore Rizza, qualche giorno fa sul mensile “Dibattito”.
Il dottor Rizza asserisce: “È certo, comunque, che tendono ad aumentare pericolosamente gli episodi delinquenziali, indici di comportamenti prevaricanti sempre più soggetti a espandersi. Ne sono un eclatante esempio la presenza, specie nelle ore notturne, di gruppi di ceffi (molti extracomunitari, purtroppo), che imperversano, assolutamente indisturbati, agli angoli delle strade, specie nelle zone tra via Potenza e piazza Italia, molto probabilmente dediti allo spaccio di stupefacenti; ne sono ulteriore indice gli incendi dolosi scoppiati di recente in vari locali pubblici del litorale (per alcuni locali, ripetuti nel tempo). Sono, questi, episodi che indicano inequivocabilmente una escalation della criminalità, lasciata libera di operare, che, in assenza di controlli preventivi, può anche condurre al radicarsi nel territorio di vere e proprie organizzazioni mafiose”.
A volte certe “associazioni” assumono pericolosità maggiori delle consolidate mafie ed è pericolosissimo negarne l’esistenza.
Nessuno può sottovalutare, ad esempio, il sequestro di qualche giorno di un fucile a canne mozze, modificato e pronto all’uso, piuttosto che l’omicidio Drago di qualche anno fa.
Nè va dimenticato ciò che è contenuto nella Relazione annuale della Direzione Nazionale Antomafia che, parlando della realtà di Scicli, afferma:
“In Scicli, invece, con il ridimensionamento del gruppo storico stiddaro dei fratelli Ruggeri, si è affermato un nuovo gruppo, non riconducibile alla “stidda” o a “cosa nostra”, facente capo a Mormina Francesco, operante nel settore della droga e delle estorsioni con straordinaria capacità d’intimidazione nei confronti degli imprenditori e non solo“.
Concludo con le parole di due grandi uomini, che hanno dedicato tutta la propria esistenza alla lotta alla mafia e che son certo facciano chiarezza su tutta la linea ed evitino che qualcuno, in questo preciso momento, per tutelare sé stesso, cavalchi il negazionismo della mafia, della corruzione e della illegalità.
«Solo un “noi” può opporsi alle mafie e alla corruzione. Libera è cosciente dei suoi limiti, dei suoi errori, delle sue fragilità, per questo ha sempre creduto nel fare insieme, creduto che in tanti possiamo fare quello che da soli è impossibile». Ecco, «le mafie sanno fiutare il pericolo, sentono che l’insidia, oltre che dalle forze di polizia e da gran parte della magistratura, viene dalla ribellione delle coscienze, dalle comunità che rialzano la testa e non accettano più il fatalismo, la sottomissione, il silenzio».
Questo uomo, immenso, è Don Luigi Ciotti!
Il Giudice Antonino Caponnetto, invece, nella Sua ultima intervista (rilasciata a Massimo Del Papa, nel febbraio del 2002) è profetico e chiaro, le Sue parole calzano perfettamente alla situazione sciclitana e non è un caso – probabilmente – che l’uomo a Lui più vicino (oggi presidente della Fondazione dedicata all’illustre ed insigne Magistrato) sia attento osservatore di questo lembo di terra.
“Cos’è la mafia, dottor Caponnetto?
Era, ed è ancora, l’organizzazione criminale più pericolosa e spietata che ci sia.
Ma non è anche un modo di essere, di sentire?
La mafiosità come stile di vita, modo di concepire i rapporti sociali, è un’altra cosa.
E questa mafiosità, finisce in Sicilia o risale per tutta l’Italia?
La mafiosità come modo di pensare si è fatta largo in tutti gli ambienti. Quanto alla mafia, l’ho sempre voluta definire come poc’anzi dicevo, perché quello è e quello rimane. Anche se molti fingono di dimenticarsene per strada.
E se fosse una battaglia persa?
Ma le battaglie in cui si crede non sono mai perse”.