Sciolto il Municipio di Ostia: niente di nuovo sotto il sole di Roma, ma Ragusa che c’entra? Un poco, ma c’entra !

La statua della Lupa al Campidoglio di Roma, 4 dicembre 2014. ANSA/MASSIMO PERCOSSI

La storia che stiamo per raccontare inizia il 14 novembre 1970 allorché il ragioniere Natale Rimi ,dirigente dell’ufficio di ragioneria del comune, chiede al sindaco di Alcamo di ottenere il distacco presso la Regione Lazio. Appena due giorni dopo la Giunta Municipale accoglie l’istanza . Il 18 novembre il Rimi, presenta domanda di trasferimento alla regione Lazio allegando una delibera di Giunta priva della necessaria approvazione da parte degli organi di controllo.

La Commissione Provinciale di Controllo di Trapani , che in precedenza aveva bocciato analoghi provvedimenti perché viziati da carenza di motivazione ed eccesso di potere perché competente il Consiglio Comunale, a tamburo battente il 5 dicembre approva la delibera. Come mai era così influente costui ?

Natale Rimi, figlio di Vincenzo e fratello di Filippo entrambi ergastolani per clamorosi delitti di mafia, era già sotto osservazione da parte della Commissione Antimafia. Nel 1967 aveva subito un procedimento per associazione a delinquere, furto e rapina e il suo fascicolo personale presso il comune di Alcamo era stato sequestrato per verificare la regolarità della sua assunzione e per valutare il suo comportamento nell’ambito dell’ufficio.

Insomma era un uomo “d’onore” che si presentava in ufficio quando ne aveva voglia , ovviamente non faceva mistero dei propri legami familiari, e la regolarità della sua assunzione destava qualche sospetto.

Ma torniamo a quell’irrefrenabile interesse verso Roma. Nell’ottobre di quell’anno Natale acquista un appartamento dai fratelli Caltagirone in via De Viti De Marco n. 50 , su segnalazione dell’avvocato Girolamo Bellavista ( così recita la relazione dell’Antimafia) e subito dopo l’acquisto lo da in uso a suo cognato Nino Buccellato fino a quando costui non fu costretto al soggiorno obbligato.

Secondo molti osservatori la vicenda di Natale Rimi rappresenta l’ingresso in pompa magna dei clan siciliani nel Lazio e, come vedremo più specificatamente, nel litorale romano.

Natale Rimi ha fretta e, non avendo ancora ottenuto il nulla osta al trasferimento, il 30 gennaio rinnova la richiesta alla regione Lazio. Ma come è noto la burocrazia ha i suoi tempi e la domanda viene protocollata il 24 marzo.

Poco male . La Giunta del Lazio, con una deliberazione antecedente di venti giorni rispetto alla data del protocollo, il 4 marzo decide di richiedere il comando di trentotto persone , compreso Natale Rimi, presso l’ente regionale.

A quel punto il presedente della regione Lazio, Girolamo Mechelli, con una lettera del 26 marzo (quarantott’ore dopo la data del protocollo) chiede al sindaco di Alcamo il trasferimento del Rimi. Ovviamente il comune siciliano non è da meno e il giorno dopo (27 marzo) risponde positivamente.

D’ora in poi sulla vicenda riportiamo testualmente alcuni brani della relazione ufficiale della Commissione Antimafia (documenti V legislatura pagina 96 e successive). “ La proposta di assumere Rimi fu fatta , come egli stesso ammette, dal presidente della regione Lazio Girolamo Mechelli. Il desiderio di Rimi era stato rappresentato a Mechelli da Italo Ialongo, nel corso di una conversazione svoltasi alla presenza del magistrato dottor Severino Santiapichi, allora consulente giuridico della regione. Il dottor Santiapichi ha dichiarato di essersi trovato in quella occasione nell’ufficio del presidente della regione ma di non aver sentito che cosa i due si dicessero; ha poi precisato di essere stato lui a presentare Ialongo a Mechelli”.

La Commissione Antimafia così descrive Ialongo:….” era conosciuto come dottore in giurisprudenza ma in effetti non ha mai conseguito la laurea; ha parecchi precedenti penali, risultando per altro condannato per estorsione nel 1959, per truffa nel 1963e più volte per emissione di assegni a vuoto; è stato detenuto a Palermo dall’8 novembre 1966 al 1 febbraio 1967; svolgeva attività di consulenza commerciale e si è interessato di affari poco chiari circa l’aggiudicazione di appalti pubblici; ha avuto frequenti contatti – a suo dire per ragioni della propria attività – con ambienti siciliani e americani e si è più volte recato negli stati uniti; ha avuto intensi e costanti rapporti , che egli afferma di natura esclusivamente professionale, col noto Frank Coppola; in particolare frequentava la sua casa, si scambiava con lui continue telefonate, curava le sue pratiche tributarie , si preoccupava delle sue vicende giudiziarie, tanto da spiegare al riguardo interventi non ufficiali;”.

Coloro che oggi si affannano a dichiarare che la vicenda di “mafia capitale” va circoscritta a recenti fenomeni di corruzione politica e malaffare mentono spudoratamente. Quarant’anni fa gli ambasciatori della mafia siciliana erano già all’opera nel Lazio e contavano su insospettabili complicità .

Sul ruolo di Frank Coppola e dei suoi sodali quale capostipite della colonia mafiosa a Roma molto si è scritto e anche noi torneremo sull’argomento in un prossimo articolo citando la relazione dell’ Antimafia dei primi anni ’70.

Ma torniamo alla famiglia Rimi . Vincenzo, il capofamiglia, venne definito dal sociologo Pino Arlacchi come “leader morale di tutta Cosa Nostra siciliana”. Vincenzo fu tra i primi ad avere rapporti diretti con la politica egli stesso fu membro del direttivo della locale sezione della D.C. – Il clan dei Rimi era il più potente dell’area trapanese e l’ influenza del clan si manifestò prepotentemente quando , in dispregio a tutte le norme, il capofamiglia Vincenzo fu trasferito nella casa circondariale di Ragusa che per legge non poteva ospitare ergastolani. Vincenzo, è bene ricordare pluriomicida, ottenne a Ragusa un trattamento che non ha precedenti in Italia. Grazie all’incredibile intervento di parlamentari, funzionari pubblici, medici e chissà altro godeva del privilegio di non essere recluso da solo. Non contento di ciò ottenne addirittura di avere accanto a se il figlio, detenuto in altro carcere e trasferito appositamente, in violazione a tutte le norme che vietavano la permanenza di componenti di una stessa famiglia nel medesimo carcere!

I Rimi sembra proprio avessero un particolare legame con gli iblei. I rampolli in libertà vengono considerati tra i primi “ambasciatori” della mafia in provincia di Ragusa. Insomma la loro vocazione ad insediarsi nelle aree meno note per fatti di mafia spaziava da Roma alla provincia di Ragusa.

Gianfranco Motta

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