Non è la solita storia di integrazione ma la storia di una grande amicizia. Quella vera. Conosco Amine grazie all’amico di sempre Marcello Ingrao che mi dice: “Amine è un collega, collabora nel progetto di Comunità”. E’ un mediatore linguistico-culturale della Comunità di Vittoria il Buon Samaritano, una realtà che accoglie moltissimi migranti, rifugiati politici, minori stranieri non accompagnati.
Amine Benchama arriva in Italia circa 10 anni fa e da ospite della Comunità di don Benianimo Sacco diventa mediatore linguistico-culturale. Contribuisce quotidianamente ad aiutare i migranti ad integrarsi e collabora con i suoi colleghi. Oggi a 23 anni ha un sogno nel cassetto che coltiva da tempo: l’hip hop.
La cultura della ribellione determinata dalla creazione di un’identità che a sua volta si basa su esperienze di strada, piene di contraddizioni e di verità. Attraverso questo stile si codificano attitudini e prospettive di giovani che si pongono diversi interrogativi sulla vita. Una lotta culturale tra due differenti identità: l’intraprendenza coraggiosa e ribelle schierata a difesa delle differenze multiculturali con lo scopo di concretizzare una società fondata sulla fratellanza ed un business manipolato dalle case discografiche.
Un genere musicale poco apprezzato a Vittoria ma portato ostinatamente avanti da Amine e un suo amico con il quale è cresciuto nella parrocchia dello Spirito Santo, Leandro vittoriese. Leandro si è diplomato all’alberghiero, lavora in un ristorante e crea l’arte dell’hip hop italiano. Entrambi condividono questa passione arrangiando le musiche, partecipando a dei concorsi l’ultimo dei quali tenutosi lo scorso anno a Modica il Sicilia Talent Festival vincendo. Inoltre hanno partecipato ad un premio nazionale classificandosi tra i primi dodici. Il loro brano è stato registrato in un cd in fase di ultimazione.
Quali argomenti si affrontano attraverso questo stile? Che è senza dubbio una forma d’arte.
Dipende dagli stati d’animo: dal tema della crisi ai problemi di strada, l’hip hop è anche uno sfogo. La musica è trascinamento. E questi ragazzi trasmettono talento attraverso intelligenza, creatività ed espressione di emozioni.
Due talenti legati da una forte intesa artistica. Cosa si aspettano da questa musica e da queste creazioni?
Leandro: “Ho incominciato ad approfondire gli studi della chitarra a dodici anni frequentando il centro giovanile di Vittoria e perfezionandomi con il maestro Alfonso Faseli. Ho elaborato con la tastiera curando alcuni arrangiamenti e iniziando a cantare. Dalla base che estrapolo ne elaboro un testo forte da presentare. Ascolto tutti gli artisti e a mano a mano mi perfeziono. Abbiamo chiesto la collaborazione di altri amici ma ci siamo ritrovati da soli e abbiamo continuato con imposizione e determinazione.
Spinti dalla volontà di creare si amplifica il senso del messaggio che si vuole trasmettere. Prima bisogna essenzialmente migliorarsi e poi le cose verranno da sé. Dipende essenzialmente dalla base mediante la quale si sceglie un testo idoneo per affrontare un tipo di argomento. La musica è il riflesso di uno stato d’animo scaturito dalla crisi occupazionale, dai problemi di ogni giorno all’angoscia giovanile. Per me è una valvola di sfogo: ciò che non riesco a dire alla mia società lo faccio attraverso la musica mettendo giù tutte le mie sensazioni ed emozioni.”
Amine: “La musica è espressione dei nostri sentimenti. tu ci parli di talento ma per me è una scoperta quotidiana. E musicalmente parlando, io e Leandro ci siamo immediatamente presi in sintonia. Ogni giorno studio e mi perfeziono. E’ un’evoluzione costante anche se non ho grandi ambizioni né aspettative. Io non guardo oltre ma vivo alla giornata. Non mi aspetto nulla se non la voglia di essere compreso, accettato e soprattutto che questo stile venga apprezzato nella collettività vittoriese. Mi piacerebbe farmi conoscere anche attraverso il virtuale. Io amo Vittoria, è la mia città e vorrei che apprezzasse la mia musica. All’inizio ho riscontrato alcune difficoltà ad essere accettato e c’è gente che ancora persiste con questo atteggiamento. Mi reputa ancora straniero e ciò mi fa male. Per questo “uso” l’hip hop per lanciare messaggi e trasmettere le mie idee. Tutto quello che mi passa per la testa lo trasferisco in musica. E’ un passatempo dedicato con passione.”
L’hip hop non è compresa ancora in questa realtà. Cito alcuni versi della canzone “Street art” di questi straordinari ragazzi: “Sormontando ostacoli per arrivare in cima. Per sentirsi meno solo, meno straniero. Una cultura che ci tiene sempre uniti. L’hip hop non è arte per morire anche se molta gente ci mette in disparte…”