Quando le mamme crescono…pensano che le tradizioni non siano tutte da buttare via. “Festa dei morticini” , come la chiamava nella scuola di mia figlia: i nostri figli hanno visto sulle tavole la frutta martorana, oppure l’ hanno trovata nascosta nei cassetti ? Ne dubito fortemente. E quali sono e dove sono tutti gli altri dolci della nostra tradizione ?
In compenso scintillano zucche arancioni, sorridenti o mostruose, un po’ dappertutto, perfino nelle scuole in cui l’innovazione arriva e travolge. Solo nei casi più fortunati vive accanto a ciò che è antico, che è solo nostro e che si è tramandato nel tempo.
Ma la “ festa dei morticini” è una festa la cui “ morte” era da tempo annunciata: da quando abbiamo smesso di educare i nostri figli perché abbiamo fretta, perché siamo stanchi, perché la televisione e la play li ammutolisce e ci dona momentaneamente sollievo. Nel tempo pagheremo con gli interessi questa finta quiete. Nel tempo pagheremo l’invasione di una quantità smisurata di giocattoli acquistata in ogni periodo e senza alcun motivo specifico, prima che vengano chiesti oppure senza creare tempi di attesa.
Non esiste il desiderio. Tutto e subito. Tutto e tanto, perché noi non lo abbiamo avuto, perché i nostri figli non si sentano diversi, perché avere quello che hanno gli altri significa stare bene ? Ma dov’è l’anima di noi mamme quando stiamo a lavorare fuori e dentro casa per un tempo che tocca quasi le 14-16 ore ? Ma perché sopravvivere dentro un caos in cui tutto è troppo veloce e disumano ? La festa insegna a fermarsi, a pensare che le cose essenziali vanno vissute. Questa festa ci insegna che quelli che non ci sono più vanno ricordati non perché compravano montagne di oggetti, ma perché ci amavano, o amavano i nostri genitori; perché ci riporta a storie di carezze sulla testa e di baci sulla fronte prima di andare a dormire. Invece, adesso, non c’è uno stop, sfrecciamo nella vita di ogni giorno: troppe le cose da pagare, le scadenze a cui fare fede, le tasse che spuntano come funghi.
E se ci spaventasse tornare alle noci vicino al comodino, con un frutto di zucchero e un giocattolo solo? Se non reputassimo queste cose simbolo di pienezza e di abbondanza? L’essenzilità ci fa paura ?
Eppure la ricchezza non riempie nessun vuoto e chi è ricco lo sa. Esempio sono i nostri politici, che anche se scialacquano i nostri soldi non sembrano affatto persone felici né tantomeno prive di preoccupazioni e problemi. Forse ci spaventa pensare che qualcuno ci ama anche oltre le barriere del tempo e dell’indefinito.
Forse ci spaventa piangere, emozionarci, sentire che siamo vivi ? Forse ci spaventa pregare per chi non c’è, perché pregare presuppone silenzio e il silenzio ha troppe cose da dire. Quando invece, è dal silenzio che dobbiamo ripartire, perché la voce possa avere un altro fascino.
Credo che oggi noi mamme abbiamo un compito gravoso: quello di insegnare ai figli ad amare, a piangere , a ridere, ad entusiasmarsi. Ciò vuol dire riuscire a fermarsi per ascoltare cosa accade dentro e dare un senso a quello che proviamo, dare un valore a quello che siamo, senza bisogno di avere, avere, avere. Le madri devono custodire ciò che è essenziale, senza che anche l’essenziale diventi commerciale, convertibile in moneta, in ore di lavoro. Intanto ci accontentiamo di sentire i passi dell’ esercito di mamme che guarda con ammirazione i paesi in cui le donne possono essere madri e lavoratrici allo stesso tempo, in cui i bambini possono essere bambini e ci sono servizi adeguati alle necessità di ciascuno. Intanto, cerchiamo di portare i fiori sulle tombe , di avere tempo per rivolgere il pensiero a chi non c’è, di biascicare una preghiera. Intanto, per la festa dei morti, cerchiamo di essere vive.