Trans brasiliane chiedono protezione umanitaria, nel marasma dell’immigrazione, nessun controllo!

A Firenze, e già in altre città, da giorni si sta verificando un insolito fenomeno. Le transessuali brasiliane in fila agli sportelli dell’Immigrazione della questura. Chiedono asilo politico. O meglio, “protezione umanitaria”. Non era mai accaduto, che una simile richiesta fosse inoltrata da cittadini provenienti da Paesi generalmente estranei a fatti di persecuzione. Peraltro, il Brasile figurerebbe a tutt’oggi fra nazioni semmai inclini all’accoglienza. E allora, come spiegarlo?

In questura si parla di effetto tam-tam, l’onda lunga della recente sospensione da parte del Tar di Napoli, del provvedimento di espulsione di una transessuale richiedente asilo, nonostante il parere negativo dell’Esecutivo. In città la cosa sembra però sconcertare per un motivo in più. Proprio l’anno scorso, una transessuale brasiliana, la 45enne Gilberto Manoel Da Silva, residente e con riconosciuto status di rifugiato, è stata assassinata in centro da un fiorentino; ottenendone dunque il trattamento che eludendo il rimpatrio cercava di evitare. Un fatto che si consumò fra i muri domestici per questioni di ricatto, ma ben lungi dalle possibili implicazioni di un’Italia ai primi posti in Ue per atteggiamenti discriminatori proprio verso transessuali e transgender, stando a fonti Agenzia dell’Unione europea per i Diritti fondamentali.

Quanto avviene a Firenze in questi giorni cade nel bel mezzo di un’emergenza migranti che ha del tragico e quello delle transessuali non è certo il primo espediente messo in atto per aggirare la norma. Il mondo cambia e gli immigrati lo percepiscono. È cambiato l’iter della pratica e del rilascio dei permessi. Ora tutto avviene telematicamente. Parallelamente, sono cambiate le cose anche per gli operatori delle questure, delle poste, delle prefetture; eppure, tutto cambia affinché nulla, poi in fondo, cambi. Sì, perché i problemi sono sempre gli stessi, interminabili file e le solite lunghe, estenuanti ore d’attesa; ma in realtà, andando a vedere più a fondo, qualcosa di veramente cambiato c’è. Più per i “controllati”, che per i “controllori”. Gli immigrati sono infatti consapevoli dei propri diritti, delle leggi che normano le richieste, ma anche più pronti e capaci a usare artifici per aggirare ogni ostacolo. Gli esempi si sprecano. Sino a qualche anno fa, nessun immigrato con regolare permesso di soggiorno, ma con tenore di vita modesto, cioè con un reddito pari o inferiore al minimo dell’assegno sociale, avrebbe mai pensato di farsi aiutare in casa da un domestico, magari un connazionale, giovanissimo e senza alcuna competenza specifica. Oggi, invece, questo stratagemma è molto in voga. È sufficiente presentare un contratto di lavoro e il giochino del rilascio, o del rinnovo, è fatto. Tutto bene, solo che in molti saranno poi beccati non certo a lavorare presso l’abitazione del proprio datore di lavoro, bensì in strada a fare gli abusivi, quando va bene, oppure a spacciar droga. In questi casi, dovrebbero scattare immediatamente gli accertamenti e i provvedimenti del caso, anche l’espulsione, ma solo raramente accade, perché l’ufficio Immigrazione è letteralmente sommerso dalle carte.

Se quanto osservato riguarda in particolar modo i nordafricani, i cinesi restano un caso a sé stante. Stipulano solo rapporti di lavoro fra loro, tutti rigorosamente sottopagati, con un guadagno medio pro-capite che spazia dai mille ai tremila euro annui. Insomma, una sorta di schiavismo documentato. Molti di questi fanno parte di famiglie numerose, da sostenere, e di conseguenza è necessario presentare redditi in fascia superiore. Qui, grazie al commercialista e imprenditore, già con precedenti alle spalle per favoreggiamento dell’immigrazione clandestinae della permanenza illegale in Italia mediante documentazione falsa, i redditi possono magicamente lievitare di quanto necessario. Tutto “legale”, tanto nessuno controlla. Mai che un ordine professionale abbia adottato provvedimenti a carico di un loro iscritto. Sull’altro fronte, quello dei “controllori”, i poliziotti dell’ufficio Immigrazione ormai lavorano a una sorta di catena di montaggio. Al grido “Quantità, non qualità!” proveniente dall’alto, sono il nerbo di un permessificio a ciclo continuo; ma si può controllare la genuinità di un flusso così grande di persone, contratti di lavoro, buste paga, dichiarazioni, documenti, test di italiano e autocertificazioni in tempi rapidi e senza sbagliare? Si può controllare che tutto duri solo il tempo dell’iter burocratico? Probabilmente sì, ma la richiesta ha assunto ormai proporzioni bibliche e la carenza di personale in questura è prassi.

Controllare? Pura utopia.

(di Renato Scalia)

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