Giovanni
Lo incontrammo a Catania nei primi mesi del ’72. Insieme ad un amico stavamo preparando il materiale che successivamente sarebbe servito per la pubblicazione di un volumetto , ormai introvabile, dal titolo “Rapporto sulla violenza fascista a Catania”. Giovanni Spampinato seppe delle ricerche che stavamo compiendo e volle condividere con noi fatti e circostanze riguardanti gli ambienti neofascisti. Ci parlò di traffico di armi e di reperti archeologici, di collegamenti internazionali e della presenza del terrorista Stefano delle Chiaie nella Sicilia Orientale. Ci confidò che in città era considerato un visionario che si inventava collegamenti inesistenti . “Tutte minchiate” il commento ricorrente . Negli ambienti della Ragusa bene gli scritti di quel ragazzo poco più che ventenne ,e per giunta figlio di un partigiano comunista, non erano altro che il sintomo di un bisogno di notorietà costruita sul nulla. Anche dopo quei sei proiettili sparati dall’assassino (o assassini ?!) che misero fine alla sua vita Spampinato restò un minchiataro che l’è cercata.
Soltanto qualche settimana fa, dopo 49 anni dalla morte, si sono riaperte le indagini a seguito di nuovi elementi. ( HYPERLINK “https://www.laspia.it/giovanni-spampinato-aveva-capito-tutto-il-gruppo-sanguigno-ed-un-reperto-archeologico-avvicinano-la-verita-sullomicidio-tumino/” https://www.laspia.it/giovanni-spampinato-aveva-capito-tutto-il-gruppo-sanguigno-ed-un-reperto-archeologico-avvicinano-la-verita-sullomicidio-tumino/ ). Forse a qualcuno verrà il dubbio che Giovanni non scriveva minchiate. E forse chi indagò dopo la sua morte , piuttosto che andare a rileggere gli scritti, preferì chiudere sbrigativamente quel dossier troppo scottante.
Angelo
Agli inizi,come molti dei suoi colleghi , ha percorso le tappe della gavetta. Precario, ma sempre con la schiena dritta, pronto ad evidenziare nei suoi editoriali le malefatte nelle stanze del potere. Dopo un lungo percorso ad ostacoli viene assunto in Rai, ma la schiena rimane sempre dritta a tal punto da divenire il motivo del suo calvario giudiziario.Di Natale formula un esposto ai vertici della Rai e in una interrogazione parlamentare sulla sua vicenda( Senato della Repubblica n. 4 -02527) si legge “.. ha più volte denunciato pratiche di malaffare…nonché atteggiamenti incompatibili con la funzione di servizio pubblico”. Quel giornalista , venuto dalla semisconosciuta città di Modica sa bene che il suo comportamento e’ considerato anomalo e nonostante ciò tira dritto. “Sono tutte minchiate !“ si affrettano a dichiarare dai vertici aziendali.Dopo una querela per calunnia, promossa da un dirigente, e una successiva procedura di licenziamento questa storia assume contorni a dir poco grotteschi. Nella pagina facebook di Angelo questa lunga vicenda è raccontata fin nei minimi dettagli, ma in questa sede preme evidenziare solo alcuni episodi . Parallelamente all’accusa di calunnie viene accusato di aver svolto attività professionale presso una emittente concorrente . Ma il vero miracolo premonitorio avviene quando ancor prima che Di Natale compiesse quella presunta “violazione contrattuale” che condurra’ alla risoluzione del rapporto di lavoro(cioè attività professionale presso la concorrenza)in azienda circolano gia’ le voci del licenziamento del giornalista ribelle. Nella lunga storia dei due processi paralleli(e di sostituzione di giudici poche ore prima delle udienze) c’è un episodio che vale la pena raccontare. Come in un qualsiasi processo farsa (degno del tribunale di un regime totalitario)si compie il capolavoro. Nel corso del procedimento per il licenziamento viene dichiarato improponibile il ricorso del giornalista perché avrebbe dimenticato di produrre una prova essenziale a propria difesa:cioè il contratto nazionale di lavoro. La circostanza non rispondeva a verità, tanto è vero che agli atti vi era il timbro su quel documento regolarmente prodotto. Ovviamente il giornalista ricorre esibendo le prove dell’errore. Per tutta risposta quella Corte dichiarera’ inammissibile l’ennesimo ricorso. Quasi ad affermare ce ne fottiamo del contratto che consentirebbe un eventuale reintegro. Ormai abbiamo scritto che devi essere licenziato e così sia. In conclusione Di Natale è stato definitivamente licenziato dalla Rai. E la querela per calunnia che lo accusava di dire minchiate? Secondo una recente sentenza del Tribunale di Palermo il fatto non sussiste ,quindi non erano minchiate .
Paolo
Da sei/sette anni esamina minuziosamente atti giudiziari, casellari,certificati dei carichi penali, archivi dell’ anagrafe, e tutta la documentazione che consente di ricostruire legami negli ambienti della criminalità organizzata. Con quella faccia bonaria e lo sguardo mite racconta di persone e fatti di mafia soprattutto nelle province di Ragusa e Siracusa. “ Scrive soltanto minchiate” dichiarò sottovoce,un suo collega giornalista ragusano. Le persone perbene rispettose delle convenzioni sociali, soprattutto quelle del silenzio omertoso e dello sguardo rivolto alle misere beghe di paese, usano le stesse parole della malavita oggetto dei suoi articoli. “ Scrive di mafia perché assetato di soldi e notorietà” . C’è poi chi si spinge oltre accusandolo di essere ancora vivo In alcuni ambienti della sua città lo si definisce un ragazzo innocuo :“altrimenti lo avrebbero già ammazzato”. C’è poi chi grida allo scandalo come quei sette parlamentari regionali che in una lettera all’antimafia siciliana chiesero di indagare sui motivi che indussero le autorità di governo ad assegnare la scorta al giornalista. Certo vivere sotto scorta , non essere liberi di passeggiare dove e quando vuoi , val bene la soddisfazione di non rimanere mai solo per fare quello che ti pare.
L’ultima, ennesima, conferma che Paolo Borrometi è un minchiataro è arrivata pochi giorni fa. Dopo aver scritto per anni sulle attività della famiglia Ventura il tribunale di Ragusa ha inflitto oltre cento anni di carcere a quel gruppo criminale. Nel corso degli anni non sono mancate le espressioni di sdegno verso il giornalista che “gettava fango” su quella comunità, certamente vivace e intraprendente, ma giammai condizionata nelle sue espressioni politiche ed economiche. Ed infatti anche il comune Vittoria ha subito la triste, ma necessaria, sorte dello scioglimento per infiltrazioni mafiose.