Questa è una storia assurda ma, purtroppo, non è una storia isolata. È la storia di un uomo, un ragazzo, di appena 35 anni, sposato e padre di due figli piccoli. È la storia di Lillo (Calogero) Morreale.
Di Lui c’è solo una foto, in bianco e nero e nulla più.
Lillo denunciava i mafiosi di Roccamena e i politici collusi. Lo fece fino al giorno in cui il suo corpo venne riempito dal piombo dei proiettili sparati dai killer mafiosi. Una decina di colpi di pistola, oltre a una scarica a distanza ravvicinata, attraverso il parabrezza, gli hanno tolto la vita. A casa, ad aspettarlo, ci sono la moglie i due figli che non lo vedranno più.
“E’ un delitto contro il paese – scriveva Nicola Volpes sull’Ora, alcuni giorni dopo l’omicidio – un’intimidazione per tutti, la scelta di un uomo che da anni era un emblema”. Un emblema, appunto, contro la mafia e le collusioni politiche.
Il dottor Paolo Borsellino si occupò del caso e scrisse che “Calogero Morreale aveva per certo con numerosi individui e nuclei familiari notevoli ragioni di contrasto, in special modo con riferimento alla regolamentazione dell’attività urbanistico-edilizia”. Ma il suo omicidio, come quello di tante, troppe, vittime di mafia, è senza colpevoli. Ed essendo senza colpevoli, il corpo di quel 35enne che lasciava due bambini piccoli ed una moglie, non ha il riconoscimento di vittima di mafia.
Paradossi in una Terra, la Sicilia, in cui – purtroppo – tutto è possibile. Possibile, persino, che nessuno ricordi la sua storia. Io l’ho voluta raccontare proprio oggi, a 45 anni dal suo omicidio.