Oggi al processo sulla trattativa tra Stato e mafia e’ il giorno di Massimo Ciancimino, il figlio dell’ex sindaco di Palermo, Vito. E nell’aula bunker del carcere Ucciardone – di fronte alla corte di assise, presieduta da Alfredo Montalto – si rivede il pubblico delle grandi occasioni: giornalisti e decine di studenti sugli spalti. In aula i pubblici ministeri – il procuratore aggiunto Vittorio Teresi e i sostituti Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene – e l’imputato Massimo Ciancimino assieme all’avvocato Roberto D’Agostino. Da ottobre infatti lo storico legale di Ciancimino, Francesca Russo, ha rimesso il mandato. E’ attivo il collegamento in videoconferenza da Parma per consentire la partecipazione del boss Salvatore Riina, presente dunque dopo che nei giorni era stato ricoverato per motivi di salute.
Stato-mafia: Ciancimino, mio padre conobbe Berlusconi e investi’
“Mio padre e Silvio Berlusconi si sono conosciuti. E incontrati a Milano alla fine degli anni Settanta. Me lo disse mio padre quando decise di aprirsi con me, rivelandomi quanto sapeva, per scrivere il memoriale. Anche mio madre mi confermo’ che quanto raccontato da mio padre Vito era vero. All’epoca dei fatti Berlusconi era solo un imprenditore molto noto a Milano ma, chiaramente, quando mio padre mi racconto questi fatti suscito’ il mio interesse. Gli incontri erano organizzati da Bontade tramite Marcello Dell’Utri”. Lo ha detto Massimo Ciancimino, rispondendo alle domande del pm Nino Di Matteo al processo sulla trattativa Stato mafia, in corso nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo. Ciancimino ha aggiunto: “Mio padre investi’ dei soldi nelle attivita’ di realizzazione delle case a Milano 2”. Un investimento in cui “c’erano gli interessi anche di imprenditori di mafia e di Bontate e Provenzano”.
Stato-mafia: Ciancimino, Provenzano uno di casa e compagno di pizza
“Mio padre ha conosciuto Bernardo Provenzano. Ma l’ho conosciuto anche io, direttamente. Il rapporto con Provenzano c’era da sempre. Ero ragazzino e la sua presenza settimanale a casa nostra era una costante a casa mia. Ho preso contezza che questo personaggio, che all’epoca si presentava come l’ingegnere Lo Verde, verso la fine degli anni Settanta,, tra il 1978 e il 1980, quando accompagnai mio padre dal barbiere. In questo locale vidi in un giornale un identikit di Provenzano. Una conferma l’ho avuta dopo una brutta risposta di mio padre”. Lo ha detto Massimo Ciancimino, deponendo nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo, rispondendo alle domande del pm Nino Di Matteo nel processo Stato-mafia. “Papa’ – dissi – ho visto su Epoca un indentikit di uno dei piu’ pericolosi latitanti, l’ingegnere Lo Verde e’ Provenzano. Lui mi disse soltanto: ricordati che da questa situazione non ti puo’ salvare nessuno, neanche io”. In quel periodo – tra la fine del 1978 e il 1980 – “Provenzano usciva assieme a noi, l’intera famiglia Ciancimino, e andavamo anche a mangiare la pizza. Spesso si andava a San Martino delle Scale o a Baida”.
Stato-mafia: Ciancimino, Provenzano protetto da accordo istituzioni
“Un giorno, tra maggio e dicembre del 1992, mio padre mi disse che Provenzano poteva muoversi indisturbato grazie ad un accordo con rappresentati istituzionali, in seguito ad alcuni incontri ai quali anche lui aveva contribuito”. Lo ha sostenuto Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo Vito, deponendo alle domande del pm Nino Di Matteo, al processo sulla cosiddetta trattativa tra Stato e mafia. “Gli incontri tra mio padre e Provenzano – ha proseguito – si sono protratti, con maggiori cautela, anche successivamente al 1980. Prima in luoghi della provincia di Palermo. Quando vivevamo a Roma, tra il 1990 e il 1992, mio padre era libero e vivevamo in via san Sebastianello (Roma). Nel luglio 1992 lui ha interceduto per fissare un incontro con un medico romano poiche’ mio padre e Provenzano condividevano anche i problemi medici legati alla prostatite”. E, ancora: “Non ho mai partecipato direttamente agli incontri, non ero abilitato, accompagnavo mio padre e restavo fuori. Ma ci salutavamo col bacio, mi conosceva fin da bambino. Era molto paterno con me e a volte mediava pregandomi di non fare arrabbiare mio padre”.
Stato-mafia: Ciancimino, per mio padre Riina “pupazzo stupido”
“Mio padre riteneva Salvatore Riina un doppiogiochista, intellettualmente limitato e aggressivo. E spesso lo appellava con il soprannome ‘pupazzo'”. Cosi’ Massimo Ciancimino definisce il boss corleonese, collegato in video conferenza da Parma adagiato su una lettiga, riferendo le parole del padre Vito Ciancimino. Massimo Ciancimino sta deponendo dinanzi alla corte di assise di Palermo, nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo, rispondendo alle domande del pm Nino Di Matteo. “Mio padre diceva che Riina era uno stupido – prosegue Massimo Ciancimino – e a volte prima di incontrarlo a casa nostra in via Sciuti a Palermo, gli faceva fare mezzora di anticamera e poi lo accoglieva”.
Stato-mafia: Ciancimino, mio padre gli 007 e i dossier Viminale
“Dal 1970 fino agli ultimi giorni della sua vita mio padre ha intrattenuto rapporti con esponenti dei servizi segreti. E c’era un tizio, che chiamava ‘signor Franco’, che faceva da postino tra lui e appartenenti agli apparati di sicurezza dello Stato. Certamente gia’ nel 1984 il signor Franco frequentava mio padre e gli forniva informazioni”. Lo ha detto Massimo Ciancimino rispondendo alle domande del pm Nino Di Matteo al processo Stato-mafia. “Il signor Franco consegnava dossier – ha aggiunto – su carta intestata del ministero dell’Interno a mio padre. Io avevo l’incarico di disfarmene. Questo sicuramente dal 1984 e anche negli anni seguenti”. Negli anni dal 1999 al 2002, quando Massimo strinse rapporti piu’ confidenziali con suo padre, “questi dossier erano serviti per avvisare amici e politici su possibili inchieste nei confronti di persone riconducibili a mio padre”. Massimo Ciancimino poteva contattare, attraverso una utenza telefonica, il ‘signor Franco’ che “lo tranquillizzava quando c’erano motivi di preoccupazione, comprese le mie questioni giudiziarie, come quando fui indagato lo stesso giorno della morte di mio padre e lui mi rassicuro’ dicendomi che era un modo per tutelarmi, cosi’ mi sarei potuto avvalere della facolta’ di non rispondere se mi avessero sentito sulla trattativa”. Il processo, per un malore di Ciancimino jr, e’ stato rinviato a domani per la prosecuzione dell’esame dell’imputato.