E’ ancora in corso la questione della sottrazione illecita dei beni immobili lasciati in eredità all’Opera Pia ‘San Francesco Saverio’ di Modica.
I beni (leggi articolo “Chi ha avuto, ha avuto… un caso poco trasparente di ‘potere temporale’ della Chiesa netina” apparso su DIALOGO, maggio 2015) furono lasciati in eredità all’Opera Pia dal devoto signor Giuseppe Cerruto con pubblico testamento del 27 marzo 1934. Nel 1999 e nel 2009, la diocesi di Noto – pur non in possesso di alcun titolo di proprietà degli immobili (un locale-bottega ed un terreno con fabbricati) – provvide alla vendita a privati.
Il problema si pone circa il dove sono andati a finire gli introiti dalle vendite, …di certo non all’Opera Pia.
Sulla intrigata questione si trovano in contrapposizione da una parte un gruppo di fedeli modicani che non sono riusciti a ‘digerire’ la vendita ed il mancato introito all’Opera Pia e dall’altra parte il vescovo di Noto, in qualità di esecutore testamentario.
E’ facile ipotizzare che l’autore di codesta ‘impresa’ sia stato un sacerdote modicano; e pur tuttavia, l’attuale vescovo – informato ripetutamente ed invitato ad intervenire onde fornire gli opportuni chiarimenti e far sì che gli immobili rientrino nella disponibilità dell’Opera Pia – si trincera nel più totale silenzio. Anche se a noi sono note le sue esibizioni canore (leggi articolo “Il Vescovo poeta e canterino” apparso su DIALOGO, aprile 2015), dobbiamo constatare il suo dualismo comportamentale: in alcune occasioni è altisonante cantante, in altre diventa silenzioso opportunista. E’ probabile che nell’ambito della Curia vescovile di Noto si sia arrivati alla determinazione più logica: allungare i tempi più possibile, in attesa del decesso naturale di quel sacerdote (già in avanzata età) e così cancellare ogni prova testimoniale di quanto accaduto.
Sullo scorso DIALOGO di aprile è apparsa una ‘lettera aperta’ indirizzata al Vescovo di Noto a firma di ‘Un gruppo di fedeli’ che invitano ancora una volta Sua Eccellenza Mons. Antonio Staglianò a ‘prendere veramente in mano la situazione …e rendere giustizia alla memoria dei fondatori dell’Opera Pia’. Sino al momento in cui andiamo in stampa, nessuna risposta è pervenuta da parte dell’Eccellenza, eppure la ‘lettera aperta’ gli è ben arrivata.
Per quanto ci riguarda, non abbiamo peli sulla lingua ed affermiamo pubblicamente che tale tipo di ‘guida’ della diocesi di Noto non può essere definita al meglio. I problemi, quando sorgono, si affrontano con coraggio e si deve essere sempre disponibili – se del caso – a chiedere scusa ad una comunità che s’appella alla giustizia poiché l’ha vista infranta. Noi conosciamo e numeriamo di continuo le falle nel sociale che uno Stato assente e distratto crea e che la Chiesa tampona; e in questa sua significativa missione non può essere che apprezzata. Pur tuttavia, permaniamo nella convinta sensazione che nel canestro della Chiesa modicana, pur tra tanti pregi e pratiche coerenti ai dettati evangelici (da noi ripetutamente pubblicizzate e prova ne è il rilievo che da decenni diamo su DIALOGO agli articoli di profonda riflessione pastorale locale a firma di Maurilio Assenza), vi siano alcune ‘mele’ la cui presenza disturba la bontà delle altre.
E la carne al fuoco, purtroppo, non è finita.
All’inizio dello scorso mese di marzo (sono trascorsi già due mesi) ancora una volta Sua Eccellenza il Vescovo di Noto è stato personalmente informato circa l’operato di un sacerdote modicano che oltre a cimentarsi doverosamente nella pastorale che la vocazione gl’impone, si dà da fare – s’intende nel tempo libero – a procacciare per sé alcune eredità che potranno essergli utili per il suo futuro. Ancora una volta l’Eccellenza è coerente: silenzio ufficiale sulla questione, almeno sino al momento in cui andiamo in stampa.
Il metodo di codesto prete appare piuttosto ingegnoso e viene attuato a tappe. Come primo atto v’è l’individuazione di un soggetto avanti negli anni, che vive da solo, con pochi legami familiari esterni, praticante in parrocchia e possibilmente donna. Dai primi saltuari contatti piuttosto formali, ma in ogni caso ben mirati, si passa ad incontri sempre più ravvicinati che tendono ad eliminare l’inconveniente della solitudine e nel contempo a creare una figura di riferimento familiare. In un frammisto fra prestazioni di cure materiali quotidiane e l’indirizzo spirituale per la salvezza dell’anima, viene a crearsi tra attore in veste talare ed assistita un rapporto così intimo e solido da svolgersi all’interno del massimo grado di fiducia. Il sacerdote, diciamo così, diventa di casa; fa parte attiva della vita quotidiana presente e diventa anche destinatario di quello che sarà il futuro.
Può così giustificarsi una visita presso uno studio notarile. E questo è quanto accaduto in data 29 marzo 1984, allorquando la signora Margherita – modicana, vedova settantunenne – viene condotta presso lo studio notarile dello stimato dott. Matteo Calabrese (da tempo emigrato da Modica, con studio allora in via Sant’Agostino n° 3) al fine di depositare il suo testamento in forma pubblica, laddove dichiara che:
ANNULLA E REVOCA OGNI SUA PRECEDENTE DISPOSIZIONE TESTAMENTARIA. LASCIA TUTTO QUANTO POSSIEDERA’ AL MOMENTO DELLA SUA MORTE DI BENI IMMOBILI E MOBILI, TUTTO INCLUSO E NULLA ECCETTUATO, AL SACERDOTE …X …Y, NATO A MODICA IL 4 LUGLIO 1964, CHE NOMINA SUO EREDE UNIVERSALE.
La signora Margherita chiuderà gli occhi il 12 marzo 2002 ed il fattivo e premuroso sacerdote in data 10 aprile 2002 chiede al Conservatore dell’Archivio Notarile di ricevere il verbale di passaggio dal fascicolo e repertorio speciale degli atti di ultima volontà a quello generale degli atti tra vivi del testamento della signora Margherita. In poche parole il testamento diventa operativo e l’eredità può essere felicemente incassata.
Ma da qui a qualche anno accade dell’altro. In data 11 febbraio 2015, la signorina Giulia, modicana di anni 83, insegnante in pensione, procede alla stesura di un testamento olografo. Senza ombra di dubbio si può asserire che il contenuto del testamento – compreso il destinatario dell’eredità – è identico a quello della signora Margherita, con la dovuta precisazione che identica è anche ogni dizione, comprese le virgole. Si può presumere che il testamento sia stato dettato alla signorina Giulia, seguendo pari passo la precedente sicura traccia del notaio Calabrese. L’unica differenza è che mentre nel primo testamento si sarà dovuto procedere al pagamento della parcella del notaio, in questo secondo – l’esperienza è sempre madre d’insegnamento – si è risparmiata la parcella, avendo la signorina scritto di proprio pugno le sue ultime volontà.
Inutile dire che l’anziana parrocchiana Giulia era da alcuni anni oggetto delle attenzioni di conforto del nostro ingegnoso prete …X …Y. Aveva riempito la solitudine della signorina, rimasta senza famiglia (con un fratello e alcuni nipoti sparsi in città diverse della penisola); era diventato ‘uomo di casa’, con le chiavi in mano dell’abitazione e cointestatario del conto corrente che la signorina Giulia aveva acceso presso l’Ufficio postale di via Resistenza Partigiana.
Il decesso della signorina Giulia avviene il 23 gennaio 2016. E il testamento diviene subito operativo a favore del sacerdote indicato come erede universale. Si tenga presente – ogni calcolo è stato ben fatto – che non v’è spazio ereditario né per il fratello né per i nipoti dell’estinta, poiché trattasi di ‘collaterali’ e pertanto esclusi dalla cosiddetta ‘quota legittima’.
La signorina Giulia aveva venduto pochi anni prima un appartamento in via Risorgimento e depositato il ricavato sul c/c/p. Pertanto il ‘corpo’ di questa eredità consiste in tutti i beni mobili contenuti all’interno dell’abitazione, più l’entità del conto postale che, tra ricavo dalla vendita e risparmi vari, assomma un importo significativo.
La signorina Giulia da sempre teneva contatti telefonici quotidiani con il fratello, che vive da solo a Roma, anziano di 89 anni, titolare di pensione sociale e in permanenti difficoltà finanziarie; al fine di aiutarlo puntualmente ogni mese gli inviava un bonifico di 200 Euri e l’ultimo risulta inviato nei primi di gennaio 2016, ossia pochi giorni prima del decesso. Viene da chiedersi del perché la sorella, così tanto legata al fratello e sempre disponibile ad aiutarlo con denaro, abbia d’un tratto in un attimo dimenticato ogni affetto e proceduto alla stesura di un testamento che di fatto lo relega alla più totale estraneità.
Siamo coscienti del peso che avrà lo scritto di queste colonne sulle spalle del sacerdote in questione, ma lo riteniamo un atto dovuto. A tutela della comunità tutta, soprattutto per evitare che certi comportamenti non proprio edificanti abbiano a diventare ‘seriali’ e nel tentativo di prevenire il saggio detto popolare del ‘non c’è due senza tre’.
Se il nostro ‘prete diocesano’ non condivide e non gli bastano le clausole che il Concordato del 1984 tra Stato e Chiesa prevedono per il fabbisogno del clero, avendo eliminato il sostegno economico diretto statale ed avendolo affidato alle comunità tramite l’8xmille a cui s’aggiunge la raccolta delle cosiddette ’offerte per i sacerdoti’ (tra l’altro deducibili dal reddito imponibile del contribuente), può sempre ripensare sulla convenienza economica della sua scelta vocazionale.
Da parte nostra, per il concetto che abbiamo di prete e per la missione che la nostra idealità gli affida, non condividiamo la pratica del procacciare certe eredità a beneficio personale, con l’ambiguo ausilio di chi gode del ruolo di porgere la Parola del Vangelo.
Gradiremo un atto di ripensamento che conduca queste due eredità – che constano di cifre a cinque zeri – a destinazione diversa da quella personale. E quest’invito formuliamo al nostro venale prete, ché quelle sue discutibili entrate possono sempre essere donate ad una parrocchia, ad una associazione che pratica opere di carità, direttamente a dei soggetti bisognosi. Che lo faccia in maniera pubblica e saremo disponibili, con gran piacere, a rendere la notizia con pari evidenza di codeste colonne.
Non abbiamo dimenticato la risposta alla domanda che a questo punto ci pongono i nostri Lettori. Il sacerdote di cui abbiamo trattato è don Giovanni Mallia, vice nella Parrocchia del Sacro Cuore, la più popolosa di Modica.
di Piero Vernuccio da “Dialogo”