Dalla prima pagina de “Il Tempo”.
Un business che supera i 16 miliardi l’anno. Le agromafie sono state da sempre considerate come una mafia di “serie b” e proprio questa sottovalutazione ha permesso di prosperare indisturbate.
Dal Mercato di Vittoria, nel sud della Sicilia, fino a Milano, passando per il Mof di Fondi – che è il cuore nevralgico.
E’ questo il triangolo dell’ortofrutta, affrontare localisticamente il fenomeno e non vederlo globalmente sarebbe l’ennesimo regalo alle consorterie mafiose, poichè le tre importanti sedi mercatali costituiscono una vera e propria holding per le organizzazioni criminali.
Si, perché le organizzazioni criminali grazie all’agromafia hanno compreso come fare squadra fosse molto più redditizio che farsi la guerra: non si attira l’attenzione degli inquirenti, ci si divide i compiti e si fanno soldi. A palate.
Cosa Nostra (e la Stidda, nel Mercato di Vittoria) si dividono gli affari locali della filiera e possono entrare nei Mercati di Fondi e Giugliano; i Casalesi gestiscono indisturbati i trasporti e la ‘Ndrangheta usa le flotte di camion per far viaggiare cocaina purissima, coperta da frutta e verdura.
Da Vittoria, dove parte tutto, grazie a questa “holding mafiosa”, arriva un pomodoro ciliegino, una melanzana o un frutto, sulla tavola di un milanese, di un veneto, di un romano. Indistintamente.
IL MERCATO DI VITTORIA E LA FILIERA
La contaminazione mafiosa inizia dalla base, sin da subito dopo la raccolta (a volte anche durante la raccolta, con il fenomeno del caporalato gestito da padroni e padroncini).
Da Vittoria la Stidda, del clan Carbonaro-Dominante (insieme a Cosa Nostra), gestisce per intero la filiera.
L’attuale capomafia, Filippo Ventura (in galera) si serviva del fratello reggente, Giombattista Ventura (anche lui da non molto in carcere) per governare il comparto.
Esempio ne è la gestione indisturbata di una delle società che costituiscono l’ossatura, il confezionamento dei prodotti. Qui opera la “Linea Pack” che, poco tempo tempo fa, passò di proprietà dai Ventura a quello che sembra a tutti gli effetti un prestanome, Francesco Giliberto (per evitarne il sequestro).
Francesco Giliberto, guarda caso, proprio cognato del figlio di Gionbattista Ventura, Angelo detto u checco (ed indicato da diversi pentiti come interno all’organizzazione mafiosa, fra i quali il “suo” di cognato, Rosario Avila, già compagno della sorella, Maria Concetta Ventura).
I “servizi” della filiera sono il vero business. Cassette ed imballaggi (MP Trade Srl) per Giombattista Puccio, detto Titta “u ballarinu” ma anche per Vincenzo Di Pietro (detto Enzo u mastru). Emanuele (detto Elio) Greco, con la “Vittoria Pack Srl”, intestata alla moglie, Concetta Salerno, che si occupa di realizzazione Vaschette in pet, cassette in plastica ed angolari in carta ed angolari in pvc. Questi gli eredi del gruppo “Consalvo”, costituito da Giacomo è il padre, Michael e Giovanni, i figli (sgominato con l’operazione della Polizia di Ragusa per delega della Dda di Catania, denominata “Box”).
Da non dimenticare, infine, le illegalità commesse da Andrea Incardona, proprietario della IncarFruit e del box 55 all’interno del Mercato.
IL BUSINESS DELLA PLASTICA ED I RITORNI DEGLI EX PENTITI
Uno dei business più redditizi nel comparto delle agromafie, però, è la raccolta e lo smaltimento della plastica utilizzata nelle serre.
Qui troviamo, in Sicilia, il gruppo Donzelli che fa capo a Giovanni Donzelli (già condannato per mafia nell’operazione “Piazza Pulita”).
I Donzelli hanno creato, grazie a società a scatole cinesi (come documentato dalla Finanza con i recenti sequestri, per delega della Procura di Ragusa), un vero e proprio monopolio con la società capofila Sidi Srl (intestata proprio al mafioso Giovanni Donzelli) e con altre società intestate ai figli (su tutti Raffaele) ed alla moglie, Giovanna Marceca.
Società di smaltimento che, secondo quanto riferiscono nei documenti di sequestro (poi parzialmente annullati dal Riesame) i Finanzieri, hanno portato ad un “disastro ambientale” non secondario alla Terra dei Fuochi, con sversamenti in cave di sabbia dismesse in località Marina di Acate, cioè a due passi dallo splendido mare ibleo, reso famoso dalla fiction “Il Commissario Montalbano”. I rifiuti, definiti “pericolosi” dalle analisi disposte dalla Procura di Ragusa, rappresentano una vera e propria bomba ambientale e costituiscono introiti milionari per chi li ha gestiti.
Nel comparto va segnalato il ritorno del pluricondannato Claudio Carbonaro, capomafia poi pentitosi che, terminata la collaborazione con lo Stato è rientrato (incredibilmente) a Vittoria.
Claudio Carbonaro, con l’aiuto dei gelesi Nino e Crocifisso Minardi, si è inserito nel (fruttuoso) settore della plastica. Così molti imprenditori hanno ricevuto la visita di Carbonaro che, con i Minardi, “offre” i suoi servizi, “raccomandandosi” di accettarli.
FONDI ED I TRASPORTI
Fondi è da considerarsi come un vero e proprio “hub” delle agromafie, con riferimento principalmente ai trasporti gestiti dai Casalesi. Grazie all’operazione “Sud Pontino” (e poi all’operazione “Gea”), si è arrivati a disarticolare una vera e propria organizzazione criminale che, almeno dal 2000, imponeva il monopolio del trasporto su gomma di prodotti ortofrutticoli da e per i principali mercati.
Il sodalizio era (ed è) gestito dalla famiglia camorristica degli Schiavone che, oltre che nell’ambito del Mof, aveva esteso e consolidato la propria egemonia soprattutto nei mercati campani di Aversa, Parete, Trentola Ducenta e Giugliano, fino ad arrivare, da un lato a quelli siciliani di Palermo, Catania, Vittoria, Gela e Marsala, dall’altro a quello di Milano.
Il comparto era gestito in particolare dalla società di trasporti “La Paganese”, fino a qualche tempo fa con una sede distaccata appena fuori il Mof, ditta campana riconducibile a Costantino Pagano, indicato come uno dei riconosciuti ras delle agromafie. In sinergia con “La Paganese” – secondo gli inquirenti – operava la “Lazialfrigo”, società della famiglia D’Alterio (di Luigi D’Alterio e dei figli, Giuseppe e Melissa).
Proprio dall’operazione “Sud Pontino” si venne a conoscenza del patto tra il clan dei Casalesi e il gruppo dei corleonesi, nella gestione dei mercati ortofrutticoli in tutta Italia e per il trasporto di frutta e verdura. Le condanne, oramai definitive, hanno riconosciuto l’esistenza del patto tra i casalesi (Francesco Schiavone detto Sandokan) e i corleonesi, rappresentati da Gaetano Riina, fratello del capomafia Totò.
Da una parte i Casalesi che, tramite la gestione monopolistica de “la Paganese”, controllavano tutti i trasporti dei mercati ortofrutticoli e dall’altra, i corleonesi che avevano così ‘libero accesso’ per i loro prodotti nei mercati della Campania e del Lazio.
Nel patto, secondo il pentito Gianluca Costa, anche i fratelli Sfraga, referenti imprenditoriali delle famiglie Riina-Messina Denaro nel settore ingrosso dei prodotti ortofrutticoli e che garantivano per l’intera organizzazione siciliana.
Infine non si può dimenticare la Geotrans di Enzo Ercolano, figlio dello storico boss di Catania Pippo Ercolano, cognato di Nitto Santapaola.
Perché la frutta e la verdura sono un vero e proprio “affare” per le mafie. Fino a quando?
(FONTE: IL TEMPO)